giovedì 30 agosto 2007

Guardo il mondo e mi faccio pena

Torno a casa come ogni sera. Gli scatoloni e le valigie riempono gli angoli, dei due locali, da circa dieci mesi. Non è casa mia, è il luogo dove prosegue la mia esistenza grazie al bonifico che mensilmente attesta la mia solvenza. Non so cosa ne sarà del mio futuro, ormai non mi appartiene da tempo. Sento forte l'odore di polvere fra i polpastrelli, la doccia non sempre riesce a lavare il lavoro di dosso. Questo odore è l'unica cosa reale che riesco a percepire, più reale della mia stessa carne che non riesce a trasmettermi famigliarità da tempo. La televisione la spengo ancor prima di accenderla. Nessun piatto sporco da lavare mi ricorda che non ceno da quattro giorni, in compenso mi abbuffo in mensa. Mi da fastidio questa mia inutilità e detestandomi cammino per la stanza senza meta. Nel frigo trovo uno yogurt al limone. Mi manco. Mi rendo conto di essere un inutile e debole essere umano, dalle piccole cose. Questa mattina, in auto, dalla radio uscivano le note di una canzone dei Marillion ("Warm Wet Circle" dall'album "Clutching at Straws") e senza alcun motivo, il mio corpo si è irrigidito distribuendo sulla pelle quella sensazione di freddo, quella patetica "pelle d'oca". Non ci siamo.
Apro la finestra, guardo il mondo. Migliaia di ingranaggi con un ruolo, in molti casi inutile, ma tutti intenti a girare a tempo. Tante luci, tante strade, tanto tutto. Mi faccio pena. Veramente.

mercoledì 29 agosto 2007

Seduto

"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta: prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico" - Confucio.

La civiltà moderna, nella quale noi viviamo, basa le sue fondamenta sul principio di "continua crescita". Come conseguenza, l'essere umano deve cercare di aumentare il proprio stipendio, la multinazionale per la quale lavora dovrà aumentare il fatturato e la nazione nella quale vive dovrà aumentare il prodotto interno lordo.
Tale principio si applica in un contesto infinito, ad esempio, l'universo si espande continuamente nel nulla (che di infinito ha tutto) perché non incontra limitazioni, ma non può certo essere applicato alla civiltà moderna, che espandendosi sul pianeta terra (che di infinito non ha nulla) sarà costretta, prima o poi, a fermarsi.
La continua espansione necessita di quantità crescenti di energia. La principale fonte energetica utilizzata al mondo è il petrolio. Il petrolio non è infinito. La sua velocità di estrazione sta rapidamente raggiungendo il massimo, oltre il quale potrà solo diminuire. Da quel momento in poi, la civiltà moderna comincerà a contrarsi. Fine dell'espansione ed inizio dell'implosione.
Seduto sulla riva di un fiume bituminoso, aspetto, con gioia, il passaggio del cadavere di questa nostra civiltà.

http://www.youtube.com/watch?v=Or-TyPACK-g&mode=related&search=
http://www.aspoitalia.net/index.php
Jeremy Rifkin - "Entropia" - Ed. Baldini Castoldi Dalai
David Goodstein - "Il mondo in riserva" - Ed. Università Bocconi
Piero Angela - "La sfida del secolo" - Ed. Mondadori
Jeremy Leggett - "Fine corsa" - Ed. Einaudi
Guido Rampoldi - "I giacimenti del potere" - Ed. Mondadori
Leonardo Maugeri - "L'era del petrolio"- Ed. Feltrinelli

sabato 25 agosto 2007

Temporeggiando

Raccolgo con il cucchiaino quello che resta di una fresca crema al cacao, ed in fondo al vasetto ritrovo il tempo. Differenza tra il pieno e il vuoto, tra il prima e il dopo. Metro e schiavo di ogni cambiamento. Senza il divenire non vi sarà più modo di misurare il tempo. Assenza di moto, staticità, fine del tempo. Lo zero assoluto come unica speranza per fermare il tempo.
Non riesco a credere di essere ridotto in questo modo, anche un semplice budino riesce a scatenare in me inutili deliri.
Sono consapevole di dover dimenticare me stesso, da qui indietro e da qui in avanti. Fermare i ricordi e cancellare le speranze, rallentare i neuroni e tentare l'impossibile, vivere senza emozioni. Riempire il tempo con l'agire e non con il pensare.
Trovassi il modo per farlo.

venerdì 24 agosto 2007

Senza cuore

Dirti che l'amore esiste, è cosa ardua. L'argomento è fra i più gettonati. Da sempre l'uomo ha cercato di definirne le caratteristiche.
Non credo sia un'emozione ancestrale, temo sia una sorta di sentimento imparato, insegnato più o meno a tutti noi, figli di questa parte di mondo in grado di sopravvivere senza difficoltà. Se dovessimo scegliere tra morire di fame circondati dall'amore o continuare a vivere senza, cosa sceglieremmo? La risposta dovrebbe essere "continuare a vivere senza", perché siamo esseri vivi e biologicamente, geneticamente, portati alla vita, alla sopravvivenza. Le emozioni, fra le quali anche quella che chiamiamo amore, non possono farci dimenticare il bisogno di continuare ad esistere, a respirare, a pompare sangue e filtrare liquidi. Le funzioni degli organi vitali sono fuori dal controllo della mente. Come fare a comandare al fegato di non filtrare?
Molti anni fa, solevo sbandierare lo slogan "l'amore non esiste". Oggi, mi ritrovo a rispolverare, con più convinzione, quel caro vecchio motto. Le mie aspettative, nei confronti di questa famigerata emozione, sono sempre state elevatissime. Credevo si trattasse di qualcosa di reale, di concreto, di incommensurabile, una sorta di nirvana. Niente da fare, anche l'amore, come tutto quello che ho incontrato fino ad ora, è un'illusione, un bluff, un falso. Finta competenza, finta saccenza, finte professioni, finti politici, finti filosofi, finta finanza, finte religioni, finte relazioni umane. Tutto finto. Le relazioni umane sono destituite da ogni significato, c'è solo interesse, tornaconto, ricerca di riconoscimenti, apprezzamenti, complimenti, tutto inutilmente finto. Io sono finto.
Vorrei poter strapparmi il cuore, riuscire a vivere senza.
"Guarda quell'idiota, dicono sia senza cuore".

mercoledì 22 agosto 2007

Perfetto equilibrio

Camera da letto, letto matrimoniale con un solo cuscino, luci spente. Guardo il soffitto, sono sveglio. Il cervello è acceso e sembra non aver intenzione di spegnersi. Il cono di luce, che filtra attraverso le imposte socchiuse, disegna un tragitto perfetto e va a nascondersi tra le ante dell'armadio. I miei pensieri, come rivoli d'acqua, scivolano sulle pareti piastrellate della mia coscienza. Nello stesso momento, passato, presente e futuro, reale ed irreale, tutto e niente. Rifiuto l'idea che si tratti di me, ma se guardo con attenzione sono costretto, come sempre, ad ammettere che è proprio così, sono io. Vorrei non esserlo, ma temo sia impossibile. Vedo quello che sarei potuto essere e quello che non sarò mai. Le facce di parenti e conoscenti mi guardano sorridendo, quasi a schernirmi, io cerco di fermare almeno qualcuno di questi rivoli, ma non ci riesco. Più ci provo e più la situazione peggiora, ne nascono di nuovi, più grandi, più articolati. Chiudo ed apro gli occhi ripetutamente e mi appendo al cono di luce, unica presenza reale attorno a me. So che non reggerà molto, ma qualche secondo di nulla riesco a godermelo. Poi, si ricomincia, loro straripano io argino, non ci riesco, impreco, scusate.
Non ascolto, cerco l'equilibrio, cerco il baricentro, devo dare il giusto peso alle cose, il giusto peso. Ora ricordo, non ho peso, sono un'esistenza senza peso. Metto sul piatto della bilancia i miei pensieri, nessun cedimento, resta immobile, nessun peso, perfetto equilibrio.

sabato 18 agosto 2007

Non ho niente, sto bene.

Non dire nulla, non scrivere nulla, questo dovrei fare. Mi manca la lucidità necessaria per filtrare questo scrivere ossessivo e compulsivo. Poche ore fa, investito da un sarcasmo insolito mi sono sentito quasi pronto ad affrontare il tempo che verrà. Senza speranza, senza desiderio, senza senso, un uomo la quale presenza equivale alla propria assenza. Nessuna lacrima, ma un dolore triste privo di motivazione. Non sai quanto mi dia fastidio scrivere in questo modo, ma ne ho bisogno. La semplice idea che tu possa leggere questo mio momento mi tiene appeso ad un debole appiglio. Non so chi sei, ma poco importa, a stento riesco a riconoscere me stesso. Conosci "Lalena" dei Deep Purple? La sto ascoltando per riempire l'assenza di onde di pressione, stato equivalente al silenzio. Ogni suono, ogni rumore viaggia sotto forma di onda di pressione, per questo nel vuoto non ci sono suoni. Il vuoto per noi esseri umani è mortale, peccato sia difficile da trovare.
Una giornata iniziata come due settimane fa e terminata allo stesso modo, solo il morale è differente, è peggiorato. La situazione era da ritenersi insostenibile allora, figuriamoci oggi. Questa solitudine ricca di libertà mi sta rendendo schiavo. Ricordo che quando da bambino sorprendevo mia nonna a parlare da sola la prendevo in giro per ore, oggi fingo di non accorgermi che a parlare da solo passo gran parte delle mie serate. Sono forse già nonno? Forse sono nonno di me stesso, padre, fratello, amico di me stesso. Questa mia continua presenza finisce per escludere qualsiasi altro essere umano. Una sola voce, un solo timbro, un solo punto di vista sebbene continuamente in mutamento. Non credo si possa definire follia e forse nemmeno depressione, diciamo che è la mia vita, il mio modo di essere. Non crederesti ai tuoi occhi se ti capitasse di guardarmi quando con i colleghi di lavoro rido e scherzo come un vero idiota, non ci credo nemmeno io. Sono relazioni forzate, senza alcun significato, galleggianti su di una superficialità oleosa. Dove trovare qualcosa di più vero, di più rassicurante?
Hai ragione, sto esagerando, ti chiedo scusa.
Non ho niente, sto bene.

mercoledì 15 agosto 2007

Il Tristo Mietitore

In piedi in mezzo alla stanza mangio una patatina fritta. L'ho estratta da un tubo di cartone, l'hanno prodotta in Belgio. Con un sorriso ebete stampato sul volto, penso a quella "mousse di salmone" che è riuscita a donare l'eterno riposo a ben sei persone, una delle quali non l'aveva nemmeno mangiata, e mi chiedo "perché non può riuscirci una patatina?". Sul divano, sei rotoli di carta igienica rosa, ben imballati, si sentono a disagio. Le tende, anch'esse fuori luogo, vorrebbero essere appese al loro posto, chiuse in quel sacchetto non riescono a respirare. Rompo il silenzio con una pessima canzone, devo cambiare subito, si, ora va meglio. Una chitarra acustica se ne va da sola, raccontando la sua tristezza, senza alcun accompagnamento vocale. Guardo verso il basso e mi accorgo di essere nudo, no, non è pornografia e solo libertà. Piatti e pentole, ancora umidi, gocciolano la loro pulizia nel lavello. La cosa è seria, il Tristo Mietitore non è argomento da poco. No ho mai temuto la sua visita forse perché, essendo un essere umano, mi sono sempre sentito immortale, o forse e soprattutto perché, essendo solo, non lascerei nessuna traccia, nessun dolore. E' opinione comune che il viaggio sia irreversibile, con un forte incremento di entropia. Questo è il punto, non si torna indietro. La mia mente lo è da molto, ma in un angolo remoto spera di poter risorgere. Non ho paura, ma il nulla mi angoscia. Guardo l'aereo di gomma piena d'aria che penzola dal soffitto e mi do dello stupido. La voce di Sting mi dice Ne Me Quitte Pas, francamente non so cosa farmene. Prima di sera dovrò usare l'aspirapolvere. Mi sento pronto, aspetto la sua visita preparando la mia mousse.

martedì 14 agosto 2007

Seguirlo?

Dove trovare la forza per farsi deboli e seguirlo? Ho smesso di chiedermelo molto tempo fa.
La strada da Lui indicata sembra essere diventata un sentiero poco battuto. Ho sempre avuto seri problemi nel comprendere le cose degli uomini, ma non sono mai riuscito ad accettare "l'interpretazione". Il Vangelo secondo Matteo, preso alla lettera, lascia senza parole mettendoci di fronte alle nostre incerte convinzioni.

"Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà." Matteo 10,37-39

Davvero il Nazzareno parlava con l'intento di dover essere poi in seguito interpretato? Interpretato da chi? In quale momento della storia?
Arrivato a questo punto del mio cammino, ormai troppo lontano da quel sentiero, pago le conseguenze di aver preso alla lettera quelle parole e di non essere riuscito nemmeno lontanamente a metterle in pratica. O bianco o nero, nessun compromesso, niente gradazioni di grigio (andare alla Messa la domenica mattina per poi abbuffarsi in un ipercalorico pranzo con pastine per dessert). Non ci sono riuscito.
Oggi, aspetto di incontrare, in pieno inverno, un uomo vestito solo con un lenzuolo che camminando sulla neve, a piedi scalzi, mi chieda di seguirlo.

domenica 12 agosto 2007

Il Gigante Gentile

Fra le diverse persone che vivono dietro al mio volto, ce n'è una che spesso tendo a dimenticare. Questo ragazzo, al tempo lo era, investiva il suo denaro (suo è un po forte, diciamo loro) in LP ed in seguito in CD. Comprava soprattutto musica vecchia e strana, molti la chiamavano Rock Progressivo, per lui erano solo i "Gentle Giant". Di recente, ripensando a quel periodo, ho riascoltato il Gigante Gentile e mi sono davvero commosso. Questa si che è musica. Di fronte a "On Reflection", puoi solo saltellare come un folle stando immobile, in silenzio, urlando tutto quello che hai dentro. "Proclamation" ti muove dentro, non puoi tenere ferme le gambe e un po te ne vergogni. "The Runaway" con tutto quel vetro che si rompe è sincopata, perfetta. La musica deve molto ai Gentle Giant, sono stati veramente dei Giganti, il loro problema è stata la Gentilezza, in genere non paga. Ho scelto "Funny Ways" come video da inserire in questo Blog (lo trovate da qualche parte sulla destra), perchè mi ci ritrovo nel testo, ma se avessi potuto avrei riempito questo post con le loro canzoni, nessuna esclusa. Vi costa poco, andate su YouTube e digitate "Gentle Giant On Reflection", ascoltate e ditemi se questa non è "La Musica".
Grazie Gigante Gentile e scusami se ti ho trascurato.
Il loro sito Web: http://www.blazemonger.com/GG/

sabato 11 agosto 2007

Un bel risultato

E' ormai chiaro che mi sono perso, niente di strano, capita spesso. Camminando da solo, mi ritrovo sempre a percorrere le vie meno affollate. Questa sera però le vie sono diverse, la città è diversa, i suoni sono diversi. Tutto galleggia attorno a me, e questa volta lo fa sul serio.
La serata era iniziata nel peggiore dei modi, quando alla domanda "la navetta si ferma qua?", io riesco solo a bofonchiare "chiedo scusa, ma riesco a stento a capire dove mi trovo". L'espressione ricevuta in cambio, mi spiega ancora una volta quanto io sia ridotto male. Non trovo il coraggio per spiegare che solo pochi secondi prima, ero convinto di dover prendere un mezzo acquatico per raggiungere la stazione. Sceso dalla navetta, seguo la corrente di esseri umani e comincio a ricordare il mio tempo nella città galleggiante. La direzione porta alla grande piazza. Ho fame, come sempre ho saltato il pranzo. Camminando, rinvio passo dopo passo la decisione di fermarmi e cenare in uno dei numerosi mangiatoi. Nemmeno di fronte al noto mangiatoio veloce trovo il coraggio per fermarmi, sto peggiorando. La grande piazza è al suo posto, ricordo, ma non voglio ricordare. Guardo attorno con attenzione, ma questa sera non vedo nulla, tanta gente, ma nessuno in particolare. Solo un bambino, intento a calpestare tutte quelle cose che un adulto eviterebbe con grande attenzione, nonostante la fortuna da ricevere in cambio. Un bambino molto fortunato.
Quando ricapito per la terza volta nello stesso silente luogo, allora realizzo di essermi perso. Lo stomaco vuoto rende difficile camminare e il morale è a terra forse per lo stesso motivo. Questi luoghi stretti e contorti ricordano un po il labirinto della mia mente. Dopo più di un'ora ritrovo la strada e finalmente mi è chiaro "sono un idiota". L'esserne consapevole è davvero un gran bel risultato.

mercoledì 8 agosto 2007

Addio

Fermo, immobile, ho ancora gli occhi chiusi. Non c'è nessuno accanto a me. Quello che mi era sembrato essere freddo è invece fresco. La brezza lascia sulla pelle un velo di umidità, è piacevole. Ho quasi paura a farlo, ma apro gli occhi. Niente colori, quelli suggeriti dalla mente, immaginati con le emozioni, i pastello sono sostituiti da una dolce gradazione di grigi. Non è nebbia, è un velo umido, come seta bagnata. Il profumo è decisamente reale, conosco il muschio, non è il primo bosco che vivo. Questo però non sembra essere reale. Gli alberi sono alti, molto alti, i primi rami sono talmente lontani da non distinguere gli uni dagli altri. Solo ora mi chiedo come ci sono finito. La risposta non è qui, non ci sono risposte. Ovunque io guardi le sensazioni non cambiano. Sto male e bene allo stesso tempo. Voglio andarmene e voglio restare. Mi calmo. Respiro quel poco di ossigeno che i miei polmoni riescono a trovare, strano, in un bosco non può mancare l'ossigeno. Non è reale, lo so, l'ho capito, ma perché ci sono finito dentro? Ci manca solo che adesso esca un coniglio parlante per spiegarmi ...., lasciamo stare, sono adulto. Provo a muovermi. Percorro lunghi tragitti, cambio più volte direzione, nulla cambia. Sono finito nel centro di questo bosco e non c'è verso di abbandonarlo, io mi sposto, lui si sposta con me. Quello che ho sentito fino ad ora non è silenzio, ci sono delle voci, atone, bisbigliano verità, parlano di tutto e di niente, senza emozioni, senza coinvolgimento. Comincio ad avere paura. Cerco qualcuno, qualcosa, niente, non trovo niente. Mi accorgo che anche la mia solitudine non c'è, devo scappare, devo andare via. Cominciano a mancarmi le forze, dentro di me percepisco voragini, enormi buchi. Rivivo tutto quello che ho sbagliato senza provare nulla. Sto sbagliando ancora. Qualcosa mi vorrebbe tenere qui. Chiudo gli occhi, lascio cadere una lacrima, mi addormento. Non ho parole. Addio.

martedì 7 agosto 2007

Bolle di sapone

Il viaggio non è stato lungo, diciamo più inutile che lungo. All'ingresso di questa città si legge "Città d'arte e di cultura - Patrimonio dell'Umanità". Ci si sente molto piccoli di fronte ad affermazioni del genere. Senza sapere esattamente dove mi trovo, parcheggio l'auto inserendo un certo numero di monete per ricevere in cambio il tagliandino. Cerco il centro. Ripenso, per un attimo, al bassissimo livello raggiunto da J. M. Jarre con il suo ultimo lavoro discografico (si dirà ancora così?) è vergognoso. Dispiace constatare come autori di capolavori assoluti non si rendano conto di quanto sia offensivo, nei confronti di loro stessi, il pubblicare mediocrità insignificanti. Ancora sovrappensiero noto due vigili litigare con un camionista non molto sereno. Di colpo si apre una porta alla mia destra e prima di vedervici uscire una ragazza-bambina, vengo investito da qualcosa che non ricordavo di aver visto. Strano, ma non molto. Pochi passi e mi appare davanti una piazza, che sia questo il "Patrimonio dell'Umanità"? Guardo meglio, faccio un giro su me stesso, sotto i portici leggo "McDonald's", si deve essere questo! Entro in quella che mi sembra una Chiesa. Voglio dire che è una chiesa, ma forse qualche indigeno la chiama Duomo o Cattedrale, non lo so. All'interno non c'è il caratteristico silenzio, troppa gente che cammina. Poca luce. Mi siedo. Cerco di stare calmo, una sorta di litania comincia alle mie spalle, la chiamano Rosario. Mi piego in avanti e guardo sotto al banco, da non crederci, un tappo per le orecchie, di quelli gialli in gomma piuma, in Chiesa? L'avevo notato che non c'era un bel silenzio, ma arrivare a questo mi sembra assurdo. Esco. Poco più in la c'è un castello con tanto di fossato, con l'acqua, i cannoni e l'indifferenza dei più. Ci giro attorno, cammino a testa bassa. Quasi non volendo mi ritrovo in una libreria, una di quelle molto grandi con di tutto un po. Mi ricordo di essere un figlio del consumismo e compio il mio dovere acquistando un film in DVD "Mulholland Drive" di David Lynch. Ne ho visto qualche spezzone in televisione, una specie di allucinazione moderna. Decido di tornare a casa e mi incammino alla ricerca dell'auto. Cammino ancora a testa bassa, lo faccio sempre. Fra i piedi noto nuovamente quel qualcosa di strano, svolazzano a mezz'altezza, ce ne sono tante, sollevo la testa. Un orsacchiotto meccanico, imbeve il suo bastoncino in un bicchiere e portandoselo alla bocca mi sputa in faccia delle "bolle di sapone". Non riesco a crederci, erano bolle di sapone.

domenica 5 agosto 2007

Gocciolando

Seduto in macchina, chiudo le porte con un click. Mi gira la testa, ho fumato una diana blu. Non mangio da questa mattina, caffellatte e pane. Il silenzio mi ronza nelle orecchie, davanti a me manifesti pubblicitari enormi, mi sfiniscono con pupazzi animati immobili, mi annunciano che in ottobre accaderà qualcosa. La testa gira, mi sento leggero, una voce da dentro mi dice chiaramente che ho bisogno di aiuto. Non so cosa fare. Accendo la macchina e mi muovo, guidando piano raggiungo una città cara al mio passato. Cammino in mezzo alla gente come un'ombra silente e sbilenca. Le voci formano quello strano rumore di fondo, che accompagna il suono dei miei passi sui ciottoli delle vie del centro. Una giovane madre, distratta, fuma nervosamente una sigaretta mentre cerca di restare in equilibrio su tacchi improponibili, il marito spinge il passeggino con sguardo sconsolato. Forse sto meglio io. "Besame mucho" esce dal sax di un suonatore di strada, non lo vede nessuno, fa parte dell'arredamento della città. Più cammino e più ritorno in me. La fame mi attanaglia, ma l'imbarazzo di sedermi ad un tavolo vince la mia volontà di cibarmi. Cammino ancora e ritorno sui miei passi, come sempre. La gente sembra divertirsi, un po meno i cani costretti a seguire i padroni senza sapere dove finiranno. Una bambina saltella attorno al padre gridando "non mi prendi", il padre pensa ad altro ma le sorride lo stesso. Riesco a comprare un gelato, cioccolato e stracciatella. Ritorno alla macchina. Un felice sabato sera sta per concludersi. Il film visto in una multisala a misura d'uomo, non mi ha lasciato niente. Salendo le scale cerco di capire se riuscirò a riposare. Un'altra goccia del mio tempo è stata versata.

sabato 4 agosto 2007

Scariche atmosferiche

Aspettando il nulla mi ritrovo con le mani su questa tastiera. Poco più in là, a terra, ci sono delle bottiglie di plastica vuote, chissà perché sono lì? Provare a chiederglielo non servirebbe. Sul tavolo, la tovaglia ripiegata ricca di briciole indica che ho mangiato qualcosa. Attraverso la tenda, riesco a vedere qualche nuvola appesa ad un cielo azzurro sbiadito. Intuisco la presenza del sole osservando l'ombra del tetto che sbuca da un angolo. Qualche sottile ramo si piega sotto la pressione di pochi soffi di vento, un incompleto silenzio entra in casa e viene soffocato dalla voce di Ornella Vanoni. Ornella Vanoni? Sono davvero ridotto male. E' questo il punto, uguale a se stesso, non ho speranza di salvarmi. Quasi inconsapevolmente trascino l'esistenza sulle strade del niente che mi circonda. Una flebile speranza mi suggerisce di aspettare.
Come l'accumolo di cariche eletrriche trova la sua fine attraverso un percorso a bassa resistenza, disegnando nel buio un lampo dal percorso articolato, così anche la mia follia riuscirà a scaricarsi attraverso un percorso neuronale verso la nascita di un nuovo incubo, questa volta magari un pò più dolce.