domenica 9 marzo 2008

Solitudine

Uomo disperato e solo perso in questa solitudine insopportabile. Solitudine fatta di presenze sconosciute, di follie condivise, conseguenze di una vita troppo difficile da comprendere. Io, capo delle grandi merde, trascino le mie carni spingendole in queste stanze che hanno pianto la mia assenza. Le pareti, fiduciose del mio ritorno, sorridono compiaciute, si, sono tornato. Come posso amare se non ho il cuore? Come posso amare se non esiste l’amore? Disperato e solo, perso in te, creatura meravigliosa, fredda e lontana. Tu, donna sicura e forte, guardi quest’uomo strano e perso, senza comprenderne la natura. Non posso e non voglio chiederti nulla. La tua presenza nella mia vita ha spezzato ogni debole equilibrio, ha colorato il nero della mia ombra, rendendola quasi trasparente. Mi manchi e non sai quanto mi mancherai. Il respiro si fa sempre più pesante, questo luogo, odiato un tempo, oggi implode con il suo carico di dolore. Il dopo non sarà più come il prima. Il dolore sarà più grande, la solitudine non sarà amica, la solitudine mi ucciderà. Chiedo aiuto agli alchimisti, chiedo loro di regalarmi una pozione, un anestetico definitivo, uno strumento per cauterizzare i ricettori del dolore, voglio cancellare questa pena, questo mio profondo e disperato dolore. Tu camminerai lungo le rotte della tua vita, ricordandoti di quest’uomo, strano e perso. Mi hai regalato soffi di vita, emozioni che pensavo irreali, momenti che resteranno con me allungo. E’ dolce la mia disperazione nel sentirti così lontana, persa nella città che galleggia, nella città che tutto amplifica, dilatando emozioni e pensieri. Nessuna nota è riuscita a spiegarti chi sono, nessuna parola è riuscita a descrivere quello che provo per te. Oggi, in questa stanza, con le dita nuovamente su questa tastiera, cerco di comprendere cosa siamo stati e cosa siamo. Oggi, per la prima volta, le tue labbra hanno pronunciato il mio nome, non più “ingegnere”, ma “massimo”, non più piene di storia, ma piene di giustificazioni, che nemmeno tu sei in grado di comprendere appieno. Ti amo, e so che non è possibile, ti amo e so che non è vero, ma ci credo come un bambino crede a babbo natale, come uno stolto crede al saggio. E’ difficile, e lo sarà sempre di più, respirare, guardare, parlare, imprecare, senza averti vicina. Ma quanto sei riuscita ad avvicinarti? Quanto sei riuscita a capire di quest’uomo assurdo. Mi serve equilibrio, ma non l’ho mai avuto, mi serve saggezza, ma non l’ho mai incontrata. Ricomincio da questa stanza, ricomincio da questo insieme di tasti, ricomincio a maledire la mia malattia ed a compiangermi come solo io so fare. Riprendo da dove avevo lasciato. Riprendo dalla mia solitudine. Addio.