domenica 30 settembre 2007

Ancora inutilità

Anche oggi la radiosveglia suona alle 05:45. Nel dormiveglia, ancora alcoolico, la faccio tacere in qualche modo e rituffo la testa nel cuscino. Oggi è il giorno del Signore, non devo andare da nessuna parte, la sveglia si è sbagliata.
E’ quasi l’ora che taglia in due il giorno, quando trascino il mio corpo giù dal materasso. Non mi sono svegliato, mi sono semplicemente alzato, oggi non ho voglia di svegliarmi. Niente colazione, ieri ho dimenticato il liquido bianco. Mi vesto, salgo sul carro gommato e vado alla inutile ricerca di quel liquido. Compro il quotidiano più letto, conscio del fatto che non lo leggerò, ed entro in un locale. Un ragazzo mi scopa delle briciole sulle scarpe, ringrazio e mi sposto mentre bevo la bevanda calda che ho ordinato. Fuori dal locale c’è un silenzio rassicurante, ringrazio per questa quiete che mi invita a svegliarmi, ma non riesco a farlo. In bocca un retrogusto disgustoso mi terrà lontano da qualsiasi idea di deglutire dell’alcool, non ho la stoffa, devo ancora migliorare. Penso a Socrate, Gesù Cristo e Gandhi, e vado in pace verso questo mio futuro prossimo.
Cala la sera.
Non fumo da due settimane, seduto su di una sedia combatto con il desiderio di malto tenendomi la testa fra le mani. Non sono ancora sveglio e la cosa comincia a preoccuparmi. Come un piccolo pezzo di legno, galleggio sulla superficie di questo grande fiume, l’acqua scorre piano e disegna per me la traiettoria, io devo solo lasciarmi guidare e tentare di restare a galla, devo stare attento a non marcire, il legno marcio affonda. Silenzio, solitudine, stanchezza, vita e non vita, un insieme di cose allegre circonda la stanza. Solo un anno fa, abitavo in un altro luogo, un’altra provincia. Cosa è cambiato? Sono consapevole che ogni giorno non sono più quello del giorno prima, so che il cambiamento è una continua evoluzione. Ma che direzione ha preso il mio? Cosa sto diventando? Ho paura ad ascoltare la risposta. Bevo un bicchiere d’acqua e penso ad una frase ascoltata quattro sere fa “gli africani vanno a prendere l’acqua al pozzo con taniche e secchi portandosi a casa il peso di quello che berranno, noi andiamo a comprare l’acqua nei supermercati imballata in bottiglie di polietilentereftalato portandoci a casa il nostro fallimento”. Società fallita che spinge a ritenere più saggio trasportare chili di acqua in giro per il mondo, piuttosto che bere quella che sgorga dai propri rubinetti. Secondo te faremo una bella fine?
Vorrei parlare di ignoranza, di suicidio e falsità, ma non riesco ad andare avanti. Prosegui tu, io ti raggiungerò.

sabato 29 settembre 2007

Inutilità

Apro gli occhi alle 05:45, una mano cerca nel buio, accendo la luce. Fosse così facile anche nella vita. I piedi toccano il pavimento dopo un quarto d’ora, la semilibertà è finita da due giorni. Entro nel “lavatoio ed altri bisogni” e mi guardo al riflettente, che razza di faccia, quello li sarei io? Io dovrei essere quello li? Sembra di si, lo sono stato per trentacinque anni e continuerò ad esserlo, spero non per molto. Alle 06:32 dirigo le ruote verso lo stipendio, la radio legge lettere molto pesanti e in parte disgustose, attualità, economia, tutto falso, solo filtri di quello che già filtrato dovrebbe rappresentare il mio tempo. Dopo altri 20 minuti, attraverso il cancello, uscirò tra dodici ore e mezza. Spendo il mio tempo in compagnia di molta brava gente, qualche fannullone, ma molta brava gente. Siamo tutti così lontani da renderlo evidente solo a pranzo, la mensa, avvolta da un irreale silenzio, sembra il refettorio di un monastero. Nessun argomento ci accomuna, tranne il lavoro, ma non ci va di ammetterlo, preferiamo il silenzio.
La doccia non riesce mai a lavare la stanchezza, ma mi rende libero, al sabato sera mi rende libero. Ricordo di aver notato da giorni che l’elettrodomestico freddo è completamente vuoto, così come altri luoghi idonei a custodire alimenti in casa, per questo motivo mi reco in un grande rivenditore multicapiente e quasi onnipotente. Compro poche cose e ne dimentico una, forse la più importante. Non fa niente, l’etilico al doppio malto è comunque qui affianco a me. Preparo del cibo e scelgo un vecchio DVD “Groundhog Day”, lo ascolto in lingua originale, così non riuscirò a ricordare le battute e potrò riguardarlo altre volte, come faccio con tutti gli altri.
Scrivo inutili parole con l’ausilio della tastiera, bevendo il malto alcolico. Anche oggi sono sopravvissuto. Domani non santificherò la festa guadagnandomi così un’altra porzione di fiamma eterna. La mente piena di volti che non ricordo e di volti che non ho mai visto, non lascia traccia di profili familiari o noti. L’etilico si fa sentire e lo ringrazio, so che grazie alla stanchezza mi regalerà sogni di tomba. Molte cose vorrei dirti, si a te che leggi, vorrei dirti quello che non ho mai detto. Penso a come intitolare questo mio scrivere e non posso che pensare al suo essere inutile. Che cos’è? E’ un diario o un delirio? Forse è solo uno stupido modo per rappresentare la mia esistenza.

martedì 25 settembre 2007

Fumo

Ho smesso di fumare, la prima volta, nel gennaio 1994. Quante cose ho fatto in quell’anno. Al tempo fumavo un pacchetto di sigarette al giorno, “diana blu dure”. Qualche anno prima fumavo lucky strike senza filtro, senza filtro? Se potessi tornare indietro prenderei quel ragazzo a calci nel sedere. Ho fumato nuovamente nel luglio 1998, non con regolarità, una ogni tanto, soprattutto alla sera e mai in ambienti chiusi, non ci sono mai più riuscito a fumare in luoghi chiusi, solo all’aperto. Poi dal 2000, seguendo le orme dell’amico Zeno Cosini, ho smesso più volte. L’ultima volta ho smesso domenica 16 settembre 2007. E’ il buio che mi frega, quando cala la notte e tutto intorno comincia a tacere, metti su un CD, apri la porta del balcone, ti siedi a terra e accendi, qualche volta ne accendi due, una dopo l’altra, perché sei dell’umore giusto, perché ti va così. Mi chiedo come farò adesso ad ascoltare Barry Adamson?
Mi resta l’alcool. Questa sera, festeggiando una nuova vita, deglutirò molto etilico, nella speranza di sedare ogni mio desiderio. Niente paura, non ho ancora cominciato con il bere, è solo una delle strade che aspetta di essere percorsa. Che ne valga la pena?
Lo so, la vita non è una sceneggiatura e la semilibertà sta per finire, non si possono conciliare alcool e lavoro, se decidi di vivere lavori e non bevi. Per bere devi decidere di morire, e non è facile.

Barry Adamson - Oedipus Schmoedipus (1996) - The Vibes Ain't Nothin But The Vibes

The Vibes Ain't Nothin' But The Vibes

Ok, what have we got here Horny black boy with frisky white girl
Eye each other across the room and
The chemistry is unbearable and
Definitely not on anyones agenda
He suggests they go to someplace they won't be seen
And she thinks otherwise
Finally they agree to go
And put up with
Dunkin donuts
The usual story, they fall in love
Under the hail of spit they ignore
All the while secretly conspiring to murder each other
Hoping that will eleviate the slightly more
Uncomfortable feelings that may arise in a situation like this
But behind closed doors
The eyes of the world becoming their wallpaper
They melt into a beautiful example of a power that definitely exists
And come together on a warm moonlit night In spite of themselves
Ummmm, a likely story

lunedì 24 settembre 2007

Telefono.

Vorresti prendere in mano il telefono. Vorresti cercare fra la rubrica, quella con le lettere sulla destra, per trovare un numero. Ma la rubrica non la trovi, non hai una rubrica, l’hai avuta molto tempo fa, oggi non ce l’hai. Allora pensi ai numeri, a quello che ti serve, a quello che non hai mai composto. Non ricordi il numero perché non l’hai mai saputo. Respiri, ti mantieni calmo, sai che non importa, non c’è mai stato nessuno dall’altro capo del filo, non ha mai risposto nessuno. Va bene, non pensare, non ricordare, stai calmo.
Guardi il telefono, aspetti, forse suonerà. Ma non arriva nessun suono, passano le ore e nulla accade. Sai che è meglio così, non sapresti cosa dire, non ricordi più come si parla al telefono, non ricordi più nessuno che possa telefonare.
Solo un suono, dentro alle note, ricordi di averlo ascoltato. Un telefono non tuo, una richiesta non tua, lontana ma dentro alla tua testa. Cerchi quel suono, lo ascolti e rispondi al telefono.

Arena - Songs from the lions cage (1995) - Crying for help III

sabato 22 settembre 2007

no-man

Mi chiedo spesso che senso abbia continuare a pensare. Vivere in solitudine ti costringe a pensare, ma nel mio caso il pensiero non cessa mai di esistere. Non parlo del pensiero in senso generale, "cosa mangio stasera?", "quanti soldi ho speso?", "guarda che luna, guarda che mare", ma di un qualcosa molto più ossessionante, qualcosa di compulsivo, che ti spinge ad oscillare testa e corpo seguendo un ritmo che senti solo tu. Questa sera mi sto dando fastidio. Entrato in casa, ho cercato negli scatoloni un CD acquistato qualche anno fa. L'inizio di questa canzone è proprio qualcosa di compulsivo, quasi fastidioso, bisogna saper aspettare, bisogna sapere trasformare l'ossessione in lamento e il lamento in richiesta di aiuto, per finire con l'aiutarsi da soli, sempre grazie alla musica. L'album è veramente bello, potrei raccontarvi un sacco di cose su Steven Wilson e Tim Bowness, ma lo farò più avanti, magari quando ci incontreremo per caso.


"returning jesus" tratto dal disco omonimo dei "no-man", pubblicato nel 2001 dalla casa discografica "3rd stone records"; i no-man sono i già citati Tim Bowness (voce) e Steven Wilson (strumenti), con diverse collaborazioni.

giovedì 20 settembre 2007

Fine del tunnel?

Il celo è coperto di nuvole, la cosa mi è d'aiuto. Non possiedo un ombrello da molto tempo, non sono riuscito mai a trovare il tempo per comprarmene uno dopo aver dimenticato l'ultimo non so dove. Mi dirigo verso le strade ferrate senza avere una precisa meta. Temo che nel giorno in cui la gente santifica le feste non molti carri con ruote di metallo partiranno.
Da pochi minuti sono entrato in questa cittadina. Faccio appena in tempo ad accorgermi che una piccola goccia si è appoggiata alla mia mano prima di ritrovarmi completamente bagnato. L'acqua nelle scarpe non è una buona cosa, non ti fa sentire a tuo agio. Riparato nell'antro di una vetrina, guardo le altre persone ripararsi in altri antri vetrinati.
Lo stomaco mi spinge a cercare un mangiatoio, lo sconforto mi assale quando il frutto di questo bellissimo mondo consumistico mi presenta il mangiatoio veloce. E' arrivato anche qui? Non credo ci salveremo, dopo averlo trovato anche qui, mi convinco che la fine è vicina. Affranto proseguo la ricerca.
Mentre mangio una serie di purè di verdure multicolore, servite come palle di gelato, penso a quanto sia singolare che io mi trovi in questo luogo, un singolare e positivo consumare il tempo.
Scendo dal carro e trovo il sole. Mentre mi incammino verso il dormitoio, mi accorgo di quello che non ho visto al mattino. E' un enorme scritta su grandi fogli di cellulosa drogata con pigmenti monocolore. A bocca aperta, immobile, leggo e rileggo il messaggio "la luce alla fine del tunnel". Ancora immobile, mi volto verso Sanderson (ero certo di trovarlo al mio fianco) e gli chiedo "l'hai scritto tu quello?". Riprendo a camminare, ma non posso fare a meno di voltarmi e rivoltarmi verso quel messaggio messo li apposta per me. Devo bere una birra. Spero di cuore di riuscire a berne una sola.

mercoledì 19 settembre 2007

Fuso orario

A bordo dell'oggetto volante guardo verso il basso. A parte l'irrealizzabile desiderio di lanciarmi di sotto, noto che il mondo non è cambiato dall'ultima volta che l'ho guardato dall'alto. La pochezza del mio dolore non muta, piccolo ed insensato a terra, piccolo ed insensato in celo. Quando ormai pensavo di essere spacciato, recupero la voglia di proseguire grazie a Bruce Springsteen e ai Black Sabbath.
In attesa di salire sul secondo siluro alato, mi siedo e leggo un libro a tema con il mio viaggio. Di li a poco, vengo distratto da uno strano gioco di luce, un'intermittenza irregolare, sole ed ombra, di continuo. Alzo la testa, cosa che faccio raramente, e noto un fiume di esseri umani che continua, senza sosta, a passarmi davanti. Da destra a sinistra e da sinistra a destra, verso le più disparate destinazioni, impedendo alla luce di raggiungermi. Guardo il genere umano che si muove e comprendo che 6,3 miliardi di persone sono veramente tante. Ogni sorta di lingua raggiunge le mie orecchie. Un indiano con turbante in carta da zucchero sorride alla sua compagna. Lui con il turbante sorride, io in camicia mi sento ridicolo, sempre e comunque fuori luogo, sempre e comunque fastidioso.
Get up stand up, mi dice Bob Marley. In effetti, fuori c'è il sole e tutto sembra andare per il verso giusto, vale la pena proseguire. Alcune persone devono togliersi le scarpe per non far suonare il metal detector, ma che razza di scarpe ci sono in giro?
Salgo sull'autobus, compro un biglietto, "per dove?", "per il centro", "ma dove esattamente?", "non lo so, non è importante". Mai sguardo più espressivo è riuscito ad esprimere la pena che l'autista ha provato nei miei confronti. Scendo a caso e temporeggio, devo trovare il dormitorio, ho prenotato, è tutto apposto. Alzo la testa, è la seconda volta oggi, sorrdio ed attraverso la strada, Jurys Inn, sono arrivato.
In camera mi sdraio sul letto, non riesco a tenere gli occhi aperti, ho dormito solo quattro ore. Dormiveglia, suona il telefono, il telefono? No, non ho chiamato un taxi. Che ore sono? E' un'ora prima. Cristo Santo, il fuso orario, ho guadagnato un'ora e me ne accorgo tardi. Ottimo inizio.

venerdì 14 settembre 2007

In Partenza

Costringo il corpo ad uscire di casa, mi servono alcuni oggetti da mettere nella portabiti con rotelle. In piazza i festeggiamenti aspettano le ore buie, ma già adesso suoni e colori vengono lanciati in tutte le direzioni. In mezzo alla gente festante il mio corpo si irrigidisce, lo spirito se ne vuole andare e questa volta mi porta in uno di quei negozi dove ti sistemano la testa. Non quello che c'è dentro, purtroppo, ma quello che sta fuori. Qui dentro il tempo non entra da anni, anche le persone sembrano invecchiare in fretta una volta entrate. Mi perdo a guardare le mie infinite immagini catturate fra due specchi affacciati, uno dietro ed uno d'avanti. Penso alla luce che continua a rimbalzare, da uno specchio all'altro, come imprigionata da questa semplice trappola. Ma la mente devia immediatamente e subito vedo un ragazzo di 10 anni fa, con i suoi desideri e le sue speranze. Penso che se potesse vedere com'è ridotto l'uomo che è diventato, cercherebbe di fare qualcosa, di cambiare qualcosa. E' a questo punto che penso all'adulto che io diverrò fra 10 anni, sento le sue grida disperate, lo sento implorare di fare qualcosa, perché lui è ridotto ancora peggio. Ma cosa posso fare? Da dove inizio?
Esco con la testa apposto, compro quello che serve e rientro. La portabiti aperta aspetta di essere riempita. Mentre cerco di non dimenticare nulla, immagino di riuscire a trovare il coraggio, immagino di poter non tornare, immagino di cambiare tutto, nazione, nome, lavoro. Immagino, ma senza speranza.
Tra poche ore partirò. Il grande siluro con le ali si dirigerà a nord, li nessuno mi aspetta, e questo mi rende tranquillo.

SRV

Stevie Ray Vaughan - Tin Pan Alley - Couldn't Stand the Weather (1984)

Per quanto io possa scrivere, mai riuscirò a descrivere quello che mi porto dentro. Oggi è ancor più difficile ragionare. Per questi due motivi e per molti altri, lascio che sia la Sua musica a parlare, non per me, ma per Lui.

giovedì 13 settembre 2007

Semilibertà

La sveglia suona un'ora più tardi, il corpo scende dal letto dopo un'altra ora. Oggi è il primo giorno. Bevo la lunga conservazione che trovo nel frigo e mi vesto velocemente. Evito di pensare, potrebbe essere controproducente, ma non ci riesco del tutto. L'auto è dove l'ho lasciata, devo spendere un po' di stipendio. Girando l'angolo mi sorprendo della presenza di due giganti metallici, due di quelle grandi macchine da divertimento, una con tante cabine e l'altra con forma idonea alla navigazione. Questa sera qualcuno cercherà di divertirsi. Pochi metri e mi ritrovo bloccato nel traffico dell'istruzione. Un sacco di adulti aspettano piccoli uomini sgambettanti in uscita dalla grande costruzione del sapere.
Nella sala dei pagamenti viene estratto il mio numero, "buon giorno", nessuna risposta, non va più di moda salutare. Estinguo un paio di debiti scaduti ed imparo a non salutare. Mi dirigo verso il grande venditore di elettronica, musica ed immagini, due oggetti in grado di riprodurla e catturarle. Pago e saluto, qui la moda deve ancora arrivare. La testa pulsa, piena di libertà, solitudine, futuro prossimo, 80 dollari al barile, passato remoto. Lasciare l'auto in questa città è impresa da veterani, emetto una quantità extra di anidride carbonica e finalmente infilo il carro fra due linee blu. Mi incammino verso un rivenditore di carta scritta, mi serve una guida, a dire il vero me ne servirebbero molte, ma sembra non siano state ancora pubblicate. Sulle scale mobili mi raggiunge un grido di adulto che invoca "mamma", mamma? Questo deve proprio essere un disperato, lo cerco con speranza, ma il suo grido si allontana senza lasciarsi vedere. La gente si guarda con stupore, se sentissero le mie di grida, altro che stupore.
Prima di rientrare voglio verificare che le grandi piste siano ancora al loro posto, devo partire e non vorrei fosse cambiato qualcosa. Poco oltre, il cinematografo mi attira con una promessa che in parte mantiene. Uno strano intreccio fra passato, futuro e famiglia morta. Sulla strada del ritorno penso alla mia anima blues e mi insulto con fermezza. Lo spirito comincia ad abituarsi, il primo giorno di semilibertà sta per terminare.

domenica 9 settembre 2007

Credo nella solitudine

Se è vero che un uomo può credere solo in quel che vede, può credere solo in quel che conosce, può piangere solo la sua debolezza, allora io ci credo.
Se è vero che un uomo perso nel tempo, non può trovare la strada verso la luce, allora io ci credo.
Se è vero che l'attesa rende fredda l'aria che respiro, allora io ci credo.
Se è vero che la consapevolezza della mia inutilità, rende la mia mente instabile, allora io ci credo.
Se è vero che tu non puoi aiutarmi, se è vero che le mie parole ti infastidiscono, allora io ci credo.
Se il dolore che porto con me, come un marchio distintivo, tiene lontana la gente, allora io ci credo.
Se è vero che da tempo non prego nessun dio, questa è la mia preghiera.
Io credo nella solitudine.
Madre di ogni dolore.

sabato 8 settembre 2007

Il futuro è un'ipotesi

Apro gli occhi e ritorno in me, o per lo meno ci provo. Seduto ad un tavolino ho davanti un bicchiere di birra scura, non è pieno, credo di averne già bevuta. E' un mangiatoio, meno veloce di quello dello scorso sabato. Come ci sono arrivato non so spiegarmelo. La cameriera appoggia un piatto sotto al mio naso e mi augura buon appetito, credo si aspetti che io mangi quello che c'è dentro. La vescica mi suggerisce di alzarmi, ma un freddo ragionamento mi costringe a finire la birra che mi guarda minacciosa. Mi alzo e vado alla cassa, mentre guardo il portafogli il barista chiede "tavolo?", io rispondo "18" e lui mi dice "non il tuo, il loro" chiedo scusa. Pago ed esco. Apro il pacchetto di sigarette, ma non fumo, l'equilibrio è instabile. I mie passi sono pesanti, mi ci vuole molto a ricordare in quale città mi sono infilato. Mi incammino verso la piazza con l'ellisse d'acqua, ho un obiettivo, devo firmare. La testa lontana dal corpo mi permette di guardare avanti. Un ragazzo di colore mi racconta la sua disavventura, in un inglese strettissimo che comprendo con estrema facilità, gli do una banconota e lo saluto con una stretta di mano, un contatto umano (Man, you don't walk like an Italian, you are different; se n'è accorto?, devo cambiare nazione). Arrivo al gazebo ed un tipo, chiamandomi per nome, mi spiega che non è più possibile firmare, le schede sono finite. Chi è questa persona che conosce il mio nome e il mio passato? Santo Cielo, sono ridotto malissimo, il suo volto mi dice qualcosa, mi dice che non ho mai prestato attenzione a niente ed a nessuno, cominciando da me.

Dopo aver digitato la targa su di una tastiera, salgo in auto e guardo i CD "Porcupine Tree - Signify", "Enrico Ruggeri - VaiRrouge" e "Queensryche - Promised Land". Scelgo Ruggeri, alzo il volume, apro i finestrini e guido verso il letto. Canto ad alta voce, sono un'idiota: "Ti ho visto addentare un panino dentro all'autogrill, a volte un dettaglio può uccidere una poesia. Si, lo so che in questi casi è sempre colpa mia, l'amore inventato non vale il ricordo di lei. Ma visto che lei non c'è più non possiamo di certo fermarci, noi uomini forti sappiamo a che santo votarci. In nome di cosa, non so, ma noi teniamo duro, teniamo nascosto il passato e pensiamo al futuro, ma il futuro cos'è? Il futuro è un'ipotesi."

venerdì 7 settembre 2007

Gambetto di Re

Ormai di rado mi capita di entrare in una di queste stanze. Generalmente non conosco nessuno, solo una volta vi ho incontrato mio padre, pessima partita.
Mi siedo ad un tavolo, la casella bianca a destra è "a8", ho scelto i neri. Chi ho davanti apre di Re "e2-e4", rispondo allo stesso modo "e7-e5". Un secondo pezzo bianco si muove "f2-f4". Gambetto di Re. Quando mi trovo davanti a questa apertura so che le cose sono due, o chi ho di fronte sa quello che sta facendo ed a stento riuscirò a pattare, oppure è un suicida e fra poche mosse avrò vinto la partita. E' una regola, se apri con il Gambetto di Re e non sai quello che stai facendo, hai perso.
Questa sera però qualcosa non funziona. Non so perché proprio questa sera. Forse perché ormai la mia alienazione mi spinge a rifiutare la realtà, oppure perché la continua ricerca di un motivo, di un perché, altera le dimensioni di quello che mi circonda.
Mi alzo, non saluto, esco dalla stanza. A testa bassa mi incammino verso il niente, pensando a quello che mi ha spinto ad uscire. L'analogia. La vita è un Gambetto di Re Obbligatorio.
Ti mettono al mondo davanti alla tua scacchiera, ti insegnano le regole assegnandoti il bianco e ti costringono a giocare un'apertura che non avresti mai voluto giocare. Il tuo avversario aspetta la mossa e tu sai a cosa sta pensando. E' un suicidio.
Da questa sera non giocherò più a scacchi. Ormai sono poche le cose che mi restano da fare.

giovedì 6 settembre 2007

Andata e Ritorno

Chiudo a chiave la porta e scendo le scale.
Oggi non vedrò la mia barista preferita. Non ti saluta, non ti guarda, non ti dice nemmeno "la brioche la può prendere lei" e si incazza se non paghi con monetine. Una mattina mi ha detto semplicemente "non ho latte". Questa mattina non la vedrò, ho una banconota da 20 e so che non è il caso.
Bevo, sbircio il quotidiano color giallo e leggo "le banche non hanno fiducia nelle banche", con difficoltà trattengo il vomito ed esco sconsolato.
Guido verso la solita meta e mi incanalo, assieme ad altri, nel fiume d'auto che porta verso lo stipendio. La radio cerca di sollevarmi, io a stento mi accorgo di averla accesa. Fermo la macchina, sono arrivato, indosso la maschera ed attraverso il cancello.
Difficilmente porto con me quello che accade dietro al cancello, questa sera però, l'assenza d'acqua nelle docce mi accompagnerà fino a casa. Il colore di questo tramonto mi ricorda che deve essere cominciato il mese di settembre. Non sono sereno. Lo sono mai stato? Non ricordo. La radio racconta di una grossa morte, la mia indifferenza è assoluta. Fermo la macchina, sono arrivato, tolgo la maschera e controllo la posta.
Anche oggi, come tutti i giorni, lo stesso viaggio. Andata e ritorno.

lunedì 3 settembre 2007

Detestandomi

Guardo in basso e vedo dello scuro legno, almeno così sembra. Forme regolari che ripetono la loro irregolarità interna, fino a riempire l'intero pavimento. Jim Morrison canta, ma solo una piccola parte del mio cervello riesce a seguirlo. Mi chiedo se sia il caso di bere qualche alcolico, pur sapendo che vi è un'unica risposta. No. L'ombra di Ben Sanderson continua a seguirmi, devo stare attento. Una fredda voce dal passato mi ricorda che non ci sarà futuro. La cosa mi è stata chiara sin da subito, perché continuare a ricordarmelo? Si, hai ragione, ti chiedo scusa. Si hai ragione ti chiedo scusa? Ma fammi il piacere di stare zitta. Ok Jim, waiting for the sun, lo aspetto anch'io il sole, da che parte arriva? Dove va? Non è che hai una birra da offrirmi? Non sopporto il telefono, non suona mai, non suona mai, e quando suona .... Chiedo aiuto, ma non ho le capacità di darmelo, certe volte dimentico di essere solo. Che schifo. Ho sete. Acqua minerale naturale. Devo spegnere il cervello. Devo smettere di scrivere e continuare a detestarmi in silenzio.

domenica 2 settembre 2007

Vassallaggio contemporaneo

A pochi chilometri dal mare dell'ovest, pronti per uscire, spegniamo la televisione. L'apparecchio aveva continuato ad irradiare le sue immagini durante la cena, senza che nessuna delle sue parole venisse in qualche modo udita. Ma prima del tasto rosso, il mio dito pigia il numero tre, facendo apparire due personaggi vestiti da quasi-becchini che blaterano, con un certo sarcasmo, di non ricordo bene quale argomento. Non c'era tempo, almeno così mi volevano far credere, e il tasto rosso mise fine allo show. Oggi, passato molto tempo, quando anche il morale si decide ad uscire senza di me, prendo uno di quegli episodi e come ipnotizzato ascolto quelle perle di drammatica saggezza, lasciando il posto ad uno sciocco bisogno di ridere.

“Buttafuori” è una produzione Wilder per il Nucleo produttivo satira di Raitre.Il format si sviluppa in 8 puntate da 30 minuti ciascuna. La serie è scritta da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo. La regia è di Giacomo Ciarrapico.

Tutto finto

Questa sera, la cassiera non sembra essere in forma. A dire il vero, non credo di averla mai vista prima e con difficoltà ricordo di essermi già trovato in questo luogo. Davanti a me due "donne-ragazze" o "due ragazze-donne", Azzurra e Rosa, chiedono, alla già citata cassiera, perché il numero sei costi di più dei numeri dall'uno al cinque. Le loro mani indicano grandi cartelloni colorati, da dietro sento urlare una voce d'uomo straniero, mi volto, è la Cina che ci sta invadendo piano piano, a piccoli passi, in silenzio (mica poi tanto in silenzio). La sensazione di trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato è sempre presente, non ci faccio più caso da tempo. Scelgo il mio numero, cambiandolo mentalmente più volte, e arrivo preparato difronte alla cassa. Un papà, con un pupazzo verde in mano chiede di poterlo cambiare con una certa Fiona, riceve come controproposta un asino e se ne va sconsolato. Prendo il vassoio e vado a sedermi fuori, ultimo tavolo nell'angolo con spalle alla gente. Guardo il formaggio di plastica che mi accingo ad inghiottire e ringrazio l'inventore della scura bibita a base di acido fosforico. L'ha inventata non per dissetare, ma per poter sciogliere tutte le varietà di formaggi alla plastica presenti nei vari numeri del mangiatoio veloce. Apro la bocca e do da lavorare a fegato e reni. Il verismo rumeno che ho da poco terminato di guardare, proiettato sul grande telo di una sala, mi ha lasciato quasi indifferente. Mi dovesse capitare di incontrare una delle due protagoniste, la prenderei a calci nel sedere, ma poi ricordo a me stesso che è il cinematografo, è tutto finto, come nella vita, quella vera.