lunedì 31 dicembre 2007

Aspetterò

Rinchiuso in questo volume, avvolto da pareti, bevo tutto lo schifo che lascio alle mie spalle. Osservo una freccia urlante, lanciata da un sax rauco, disegnare improbabili traiettorie in un anonimo entroterra. Nella gola scende un retrogusto amaro, di cantina umida, da cocci di terracotta, vicino un pacchetto di listelli di carta tenta il mio futuro prossimo. Non di questo mondo sono le urla che trafiggono le mie orecchie, sono orde di locuste impazzite, insaziabili si nutrono della mia carne. Versami il nettare scuro, che io possa dimenticare la strada, che io possa perdermi in questo dedalo. Non lasciare alcun segno, non mostrarmi la via, lasciami solo, senza meta, versa e non parlare. Ho sentito narrare di una fine, una fine prossima, una fine di attesa, attesa di un nuovo inizio. Non capisco, non comprendo, cosa potrà mai cominciare? E‘ un suono, è un sibilo, pulsa, senza ritmo, senza melodia, sussurra la sua follia, ben nota ai miei neuroni. Niente gravità questa sera, lo stomaco non pesa, ho lasciato la testa fluttuare, cerco questo impulso, questo suono sincopato. Non conosco queste voci, non voglio ascoltare queste voci, falle smettere, falle tacere. La mia cara vecchia regina, quanto tempo? Non ho dimenticato, come potrei? Cara vecchia regina. Non posso crederci, anche adesso, qui, in questo momento, cerchi caldi ed umidi mi avvolgono con strette di dolore, strappano la pelle dalle braccia, lasciando fitte di dolore sugli strati di carne nuda. E’ un tuono lontano, no, è vicino, mi avvolge, mi piega. Scappo, ma le gambe non corrono, scappo, ma non mi muovo, sono finito, la testa è bassa, come sempre, la testa è pesante, come sempre. Spiegami come disegnare il domani, guida la mia mano, che io possa tracciare giusti confini, non permettere che io continui nell’errore, colora questi fogli, dai vita ai miei giorni. Una delle prossime albe, troverò la strada, e senza indugio la percorrerò, non porterò nulla con me, perché nulla mi servirà, solo delle buone scarpe, dicono che la strada sia lunga. Odore di zolfo riempie le mie narici, non è l’inferno, niente attacco di cuore, niente Belzebu, solo cori di voci nascoste nella notte. Non sono vivo, non sono io, ho perso tutto quello che sono stato, ho perso tutto il rispetto, ho perso la dignità, non sono vivo. Dopo lo spettacolo dove vanno gli attori? Ma questo è uno spettacolo? Sono io un attore? Non volevo recitare questa parte, non ci sono battute, non ci sono dialoghi, c’è solo dolore, inutile e costante dolore, colpevole ed incurabile dolore. Fammi ascoltare la tua voce, sussurrami il tuo nome, tienimi compagnia, in questa sera distorta. Cosa pensi che stia facendo? Mi maledico, scrivendo la mia incapacità di vivere, la mia stupida ottusità, la mia pochezza. Cosa direbbe di me Darwin? Suonerebbe le sue note italiane? Soccorrerebbe la mia mente? L’olio di pietra è ormai cosa rara. L’energia tende a minimizzare il suo potenziale, per questo cado a terra quando perdo l’equilibrio. Ho smesso di credere, ho smesso di sperare. Uscirò, camminerò ed aspetterò.

No grazie!

Le malattie vengono classificate ufficialmente tramite il sistema ICD9-CM; per consultarlo è sufficiente visitare il sito del Ministero della Salute. I “Disturbi Psichici” sono compresi nei codici che vanno dal numero 290 al numero 311.
Nel Rapporto Nazionale del 2006 “Uso dei farmaci in Italia”, emesso dall’Osservatorio Medico, si legge che è possibile curare con farmaci alcuni dei disturbi psichici. Per la precisione è possibile trattare la Depressione Maggiore, i Disturbi Nevrotici, i Disordini Psichiatrici e le Psicosi non Organiche.
Per tutte queste patologie, ammesso che lo siano, sono quattro i principi attivi più prescritti, e di conseguenza assunti: Paroxetina, Citalopram, Sertralina, Escitalopram. Questi principi attivi sono contenuti in farmaci quali Seroxat, Zoloft, Seropram, Cipramil e Cipralex, tutti prodotti e distribuiti da due multinazionali del farmaco: GlaxoSmithKline e Lundbeck. In apparenza la Eli Lilly, produttrice del ben noto Prozac (Fluoxetina) e del meno noto Cymbalta (Duloxetina) sta subendo, negli ultimi anni, una certa concorrenza.
Nutro una completa diffidenza nei confronti delle droghe sintetiche ed assimilabili, così come non credo nelle capacità di psicologi e medici.
Quando mi sento dire, “perché non vai da un medico?”, “perché non ti fai dare una mano?”, capisco quanto sia facile essere catalogati come persone malate.
Se non ho voglia di ridere, se non credo che questo mondo assurdo abbia un futuro, se i telegiornali mi nauseano, devo per forza considerarmi un depresso? O meglio, devo pensare di aver contratto la depressione?
No grazie!

sabato 29 dicembre 2007

Rapito

Emilie Simon - Flowers

Emilie Simon - Emilie Simon (2003)

Questa ragazza mi ha rapito. I miei capelli stanno comme quelli di werewolf. Saltello anch'io, insieme alla bimba, in quell'allegro praticello con tante pietre.

venerdì 28 dicembre 2007

Cattivo

Anche questo Natale ce lo siamo tolto dai c……i”, così recitava un sms ricevuto due anni fa.
Il tempo passa, ed io non cambio, tutto rimane sempre così privo di significato, così insensatamente inutile.
Lo so, siete tutti più buoni.
Io non ci riesco.
Vi chiedo scusa.

domenica 23 dicembre 2007

Futuro





"We must not kill the planet, we would not know where to bury it ..."
Michel Granger.

sabato 22 dicembre 2007

Infinita tristezza

Mi accorgo di me, dopo qualche minuto. La testa ovattata, lontano dal mio corpo, quasi assente. Seduto, osservo la strada che sparisce e si rinnova, sempre li, davanti al cofano. Le note di platino aiutano l’anima ad immergersi nella realtà della mia esistenza, mi rendo conto di essere avvolto in una pesante ed insopportabile tristezza. Non mi capacito di riuscire a continuare senza cedere, senza mollare, mi ripeto che passerà, che cambierà e lascio fare al nulla che mi aspetta.
Parcheggio l’auto vicino alle aule che in passato ho frequentato, in questa città che uso come rifugio, come dolorosa dimora per questo mio vecchio cuore a pezzi. Mi incammino, a stomaco vuoto, verso il centro. Maledico l’autista di un autobus che sfreccia sulle strisce pedonali, lo faccio a voce alta, senza volerlo, e attiro l’attenzione di alcuni passanti. Proseguo alla ricerca di me stesso, senza rendermi conto che sono proprio li con me. Oggi, incrocio molta bella gente ed anch’io, vestito di tutto punto, mi sento un po’ bello, diciamo che una leggera bellezza malinconica ricopre il mio volto, oggi senza peli e con i capelli pettinati. La gente è dappertutto, esce dagli angoli per sparire dietro ad altri vicoli, sbuca dai portici e si muove in ogni direzione, da non crederci. Un signore con la pipa, lascia un ricordo nelle narici, ed io incespico su di un tombino, l’ho guardato bene, era diverso dagli altri, li stanno cambiando. Se guardi una cosa con attenzione finisci per inciamparci sopra, accidenti. Vivo questa giornata senza scopo, come l’intera mia vita e non riesco a maledirmi.
Mi ci vuole del tempo per trovare il libro che devo comprare, hanno cambiato l’ordine degli scaffali e dei reparti, questa libreria sta peggiorando, si sta vestendo di modernità. Un giovane si scontra con una commessa, non riescono a mettersi d’accordo su chi dei due debba portare il libro alla cassa. Io no, non ho la tessera, l’ho detto anche al benzinaio, non mi interessano i punti, non voglio avere tessere, premi, sconti, voglio solo pagare i libri ed uscire.
Mi fermo un attimo davanti ad una vetrina, una paio di scarpe settecento euro, ho sbagliato vetrina. Un mimo argentato, mi strizza l’occhio ed io non riesco nemmeno a salutarlo. Ancora bella gente incrocia il mio cammino, vorrei urlare la mia solitudine, ma lascio perdere ed entro nel secondo negozio. Vorrei acquistare “Strade perdute” di David Lynch, ma non lo trovo, porto alla cassa Oxygene new master recording ed assisto al piccolo show della giovane commessa. Mi coglie di sorpresa con il suo sorriso e le sue battute, cerco di nascondere il mio imbarazzo, ma credo di non esserne in grado. Mi saluta con sorrisoni e battutone, lascio il negozio incredulo.
Un altro mimo, questa volta dorato, tenta di fingersi immobile, ci riesce talmente bene, che non lo nota nessuno.
Non so cosa pensare di queste feste e dei prossimi varietà, so che non riuscirò a trascorrerle con serenità, so che anche quest’anno perderò un’altra possibilità.
A casa, mi siedo in silenzio, e mi lascio stare.
Sono triste. Domani, forse, non lo sarò più.

martedì 18 dicembre 2007

La mia pianta

Ho tolto la mia pianta dal poggiolo, l’ho messa in una formina per budino e l’ho sistemata fuori dalla porta d’ingresso.
Nell’angolo della porta, vicino al tappeto blu e nero, sembra un piccolo ciuffo verde privo di significato.
Ogni sera, quando rientro la trovo li, con la sua fierezza ed indifferenza e sorrido.
Sorrido ad una pianta; comincio a pensare a me stesso come ad un povero uomo.

domenica 16 dicembre 2007

Morto

Oggi è il giorno ideale per morire. Il cielo è appena velato da inconsistenti nuvole, la luce del sole irradia la sua presenza ovunque e l’aria è fresca, quasi fredda. I colori delle cose, che riempiono quello che c’è la fuori, sono prepotentemente vivaci. La mia pianta, abbandonata sul poggiolo, sembra gridarmi il suo dolore. Essere vivo, con limitate possibilità di mutare la sua condizione, subisce le conseguenze dell’indifferenza di un essere umano, forse meno vivo di lei. Incapace di accettare la bellezza dell’essere vivo, mai compresa fino in fondo, attendo con ansia la mia fine. So che non arriverà oggi, anche se oggi la sto aspettando come non l’ho mai aspettata prima.
Il mio cervello non mi lascia stare. Spinge il mio pensare da cose sensate a cose per niente pertinenti. Il sistema "cuèrti" attira la mia attenzione, impossibile dedurlo senza aver mai visto i martelletti incontrarsi sulla carta.
Io, nato per vivere da solo, non ne ho la forza. Ormai sono stanco anche di commiserarmi, senza un particolare motivo. Racchiuso nella parte più buia e nascosta, che anche tu ti porti dentro, non riesco e non voglio uscirne. Non voglio credere alle grandi illusioni confezionate, alle promesse di soddisfazione, alla realtà virtuale che ci viene continuamente offerta. So di non poterti incontrare, so che è meglio così, so di dover smettere di scriverti. Non serve a farci sentire vicini, serve a riempire quel che resta del cuore, di piccole ed inutili illusioni. Scriverò ancora, non so di cosa e non so perché, ma lo farò. Non avrò niente da dire, come niente ho detto fino ad ora.
Quello che c’è la fuori è tutto finto. Ho bisogno di qualcosa di vero.
Il vento bussa alla mia finestra, ma lascio stare sia lui sia la finestra e mi siedo sul divano. Ascolto il mio corpo, quei piccoli doloretti che scorrono lungo i muscoli e le giunzioni, il torace che segue la frequenza del respiro, il cuore che batte nelle orecchie. Sono carne, involucro di me, strumento meccanico vivo, contenitore di informazioni emozionali. Reagisco agli stimoli sensoriali, non sono ancora morto. Il corpo è vivo e sano, in buona salute. “Prima cosa la salute”. Appunto, da questa prima cosa devo partire. So di dover lavorare sulla salute della mia mente. Devo rendermi libero dai condizionamenti del passato, da quello che mi ha reso come sono. Devo riuscirci da solo.In questo luogo nero, come la mia esistenza, dove il bicchiere mezzo vuoto, lo è grazie alla fisica, mi interrogo sul mio futuro. Penso alla copertina di Oxygene, a quello che sta sotto, a quello che non è immagine, ma che rimane celato, custodito, perché fa paura, come il teschio, vuoto e severo che nascondi sotto alla tua carne. Penso a Memento: “Quando bacio il tuo labbro profumato, cara fanciulla non posso obliare che un bianco teschio vi è sotto nascosto. Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso, obliar non poss'io, cara fanciulla, che vi è sotto uno scheletro nascosto. E nell'orrenda visione assorto, dovunque o tocchi, o baci, o la man posi, sento sporger le fredde ossa di un morto”, poesia amica, di quest’uomo che non può fermarsi in superficie.
Se ce la farò, fra non molto, andrò ad immergermi nell’acqua. Acqua ricca di cloro, acqua che isola e che amplifica il dolore della mente, poi, con la forza di un cadavere ambulante tornerò alla mia dimora, lontano da tutto e senza alcuna speranza.
Non sono morto, ma oggi vorrei esserlo.

martedì 11 dicembre 2007

Troppo tardi

Wilson Pickett - It's too late (1963)



(Doo-doo-doo's)
It's too late (too late, too late)
Said it's too late, yes it is (too late)
My love is gone away to stay (too late)
Don't you know it's too late now
Listen, children, I wanna tell you this
It's too late to cry (too late to cry)
It's too late to cry now (too late to cry)
My love is gone away, yes she has (too late)
Wo wo (too late) she has (too late)

(spoken):
I just guess that you're wonderin' why I always sing a sad song
But you see, I had a woman who was very good to me & I can remember the times she used to sit down & tell me these words:
Said, "Pickett, I want you to know I love you from the bottom of my heart & whatever you need, I don't want you to go to your mother, your father, your sister or your brother I'll be a leadin' pull when you're fallin' down
When all your money's gone, I want you to know you can count on me" But I didn't appreciate that woman then
You know what? I had to run & chase after every little girl around town
So finally one day I got home & I found my little girl gone & people, you know it hurt me so bad (ha ha) I had to hang my little head & cry
Then I began to read the letter she left for me layin' there; it read like this, children

It's too late, she's gone, oh (she's gone)
"It's too late I'm gone away" (she's gone)
Ah yeah (too late) don't you know it, children (too late)
Yeah yeah yeah yeah yeah yeah
Say it one more time (too late) listen (too late)
I wanna hear you understand what I'm talkin' about (too late)

Fastidio

Due monete da due euro, questo gli ho dato. Potevo dargli di più, ma ho pensato che non mi sarebbe rimasta moneta, per la colazione di domani mattina. Gli ho detto di non raccontarmi storie, con quella faccia furba non gli crede nessuno. “Devo comprarmi una bombola”, ma fammi ridere, guardami bene e dimmi cosa te ne fai di una bombola. In me una sensazione di brutto gesto vorrebbe spingermi a rifare tutto, nessuna parola, una banconota e dritto in macchina. Ma è andata così. Questa sera, le notizie alla radio, mi hanno rallegrato. Questo paese, inutile, si sta accorgendo della sua debolezza, faccio il tifo per chi ha deciso di non far rotolare la gomma sull’asfalto. Attendo fiducioso la paralisi, pronto a godermela appieno. Detesto questa civiltà, forse al pari di quanto riesco a detestare me stesso. Io che non riesco ad uscirne, che dormirò sotto un piumone, e che a discrezione potrò ubriacarmi o andare a dormire a secco. Il fluido nero, mentre scrivo, vale 89,14 $/b, troppo poco per piegare le gambe a queste nazioni globalizzate, ancora troppo poco. Aspetto fiducioso, il futuro sarà scuro, molto scuro. Questa sera è molto difficile non accendere una diana blu, l’aria è buona, umida, non troppo fredda, con quel profumo di muffa, quanto facile sarebbe godere di quelle belle boccate. Sono nervoso, teso ed infastidito. Stanco di me, di questa mia testa, di questo mio volto, butto nel forno una pizza preconfezionata. La mia presenza in questa stanza mi mal dispone, chiedo a me stesso di lasciarmi solo, ma non mi do retta. Se vivessi con qualcuno, questa sera, litigherei di sicuro. Scrivo la mia rabbia per liberarmene, ma più scrivo e più monta, più sale. Allora bevo, respiro, penso, urlo sottovoce, ci sono i vicini, ascolto musica semplice e muovo le dita sulla tastiera. Non serve scrivere, non serve a niente. Lo faccio, continuo a farlo, non serve. Sono stanco di prendermi in giro, sono stanco di darmi fastidio. Perdonati, perché non ti perdoni? Accettati, perché non ti accetti? Vedrai che passa. Spero mi passi sopra, e non una volta sola. Socrate, Santippe ed Alcibiade, nel loro allegro triangolo, non mi sono d’aiuto. Comincio a credere non serva a nulla leggere gli antichi pensieri. Questa rabbia, questo fastidio mi allontanano dall’aria che respiro. Domani la protesta prosegue, il precettare si è rivelato essere una leggerissima aria di ventre, emessa in una stalla ricolma di mucche con la dissenteria, poco significante, per non dire del tutto trascurabile. Evviva le mucche.

sabato 8 dicembre 2007

Forse

Scrivere la vita non è cosa facile, riesce più facile leggerla. La mia sembra un viaggio in treno, uno di quelli che facevo da ragazzo, non per scelta, per lo meno non mia, ma quasi per abitudine. Viaggio con data di scadenza.
Non ne hai voglia di partire, quest’anno non ne hai voglia, ma come l’anno scorso, prepari la valigia, percepisci il disagio, la nostalgia dell’arrivederci, di quell’essere umano che lasci per incontrarne un altro, che a sua volta lascerai per tornare al punto di partenza. Una sorta di ciclo, che ti vede ogni volta diverso, ma senza che tu te ne renda conto. Parti con la tristezza nel cuore, che ancora ti sembra vivo, perché lo senti, perché ti chiede di fermarti, ma tu non puoi e allora non lo ascolti. Parti e guardi dal finestrino, il verde, sempre uguale, ma diverso ogni volta, le case, i palazzi e i prati, quanti prati, ma saranno prati? Non lo so, l’erba non sembra molto in forma, forse è tutto morto, e quei campi coltivati, li vicino alle rotaie, non produrranno certo cibo, non lo credi possibile. Chi mangerebbe del pane con farina cresciuta ai piedi dell’autostrada? Chi? Fumi qualche sigaretta, ti senti grande, stai viaggiando da solo, sono più di cinquecento chilometri, sei veramente un ometto. Ma sei triste, e non ti sai spiegare il perché. Forse perché sai che quando aprirai la valigia, il tempo non si fermerà e non potrai buttarla via, perché dovrai fare ritorno. Ma da dove sei partito non lo ricordi più, non sai se torni quando sei qui o se parti da qui per tornare li, non lo sai. La cosa che sai è che dovrai partire nuovamente. Non appartieni a nessun luogo.
E’ così che ti ritrovi solo, dopo molti anni, intrappolato su quel treno a guardare fuori senza riuscire a vedere nulla. Non sai nemmeno se il treno si sta muovendo, se è giorno o notte. Non fumi da quasi tre mesi, ma in mano hai una bottiglia. Scrivi perché nessuno scriverà di te, e di te non potrai leggere nessuno scritto. Scrivi perché sei triste, scrivi perché hai paura. Scrivi perché essere soli fa paura. Domani sarai li, all’uscita dell’autostrada, domani non sarai solo. Sarai spaventato, senza forze e molto triste, ma non lo darai a vedere. Fingerai serenità.
Domani, forse, sarai sereno veramente, senza fingere. Forse.

martedì 4 dicembre 2007

Lonely Land

Landberk - Lonely Land (1992)

Sento

Sento l’acqua scorrere in gola, fresca, con il suo solito sapore.
Sento il sangue fluire in me, lo sento così vicino, come se io fossi presente in ogni tessuto, in ogni vena.
Sento la tensione, accumulata con il passare delle ore, la giornata finisce, lei non se ne va.
Sento il dolore, in queste mie ormai vecchie ossa.
Sento l’aria poggiare le sue mani sul mio volto.
Sento le note di questa canzone, così sciocca.
Sento l’odio che cresce, mai ho odiato più di quanto non stia odiando me stesso.
Sento la disperazione, crescere, espandersi, invadere ogni mia cellula.
Sento le grida che vorrei urlare, ma non ho voce, questa sera non ce l’ho.
Sento la tua voce, che da molto tempo non mi parla più.
Sento il tuo respiro, che più non ruba il mio spazio.
Sento la fronte poggiarsi sui miei palmi.
Sento il sapore di quello che non ho assaggiato.
Sento il rumore di cristalli di neve, che non cadranno più su questo mio corpo.
Sento il peso di questa mia condanna.
Sento di essere vivo.
Sento e non vorrei.

domenica 2 dicembre 2007

Grigio

Guardo dalla finestra. Quello che vedo non è bello, ma allo stesso tempo, comunque io la voglia mettere, non è nemmeno brutto. Il tempo è grigio, impossibile negarlo. Io sono grigio, e quel cielo freddo ha riempito il mio corpo sin da quando ho aperto gli occhi. Penso a “The Weather Man”, scritto da Steve Conrad, l’ho guardato molte volte, quasi sempre in lingua originale e quasi sempre mi è entrato dentro, come oggi ha fatto il cielo. E’ lento, calmo, grigio e triste. Non conosco molta gente, l’unico giudizio che ho avuto, è stato quello del tizio che gestisce il noleggio di DVD in questa simpatica cittadina veneta “un brutto film”. Ascolto la colonna sonora e vorrei piangere. Lacrime adulte, lacrime di vergogna, non di dolore. Mi vergogno di me. Mai avrei potuto immaginarmi così. Come un automa, fra poco uscirò da questa casa, non di certo da questo stato d’animo. Un paio d’ore e sarò di ritorno. Aspirapolvere, piatti da lavare e un po’ di panni da stendere. Poi nuovamente il nulla, fino alla maschera di domani mattina. Una nuova settimana di lavoro, una nuova settimana di niente.

sabato 1 dicembre 2007

Novemila

Precedo la cameriera, ho scelto l’ultimo tavolo d’angolo, vicino alla finestra. Lei si ferma al tavolo prima, mi giro, la guardo e mi siedo. Ha vinto lei. Questo ristorante lo conosco, anche se non da molto, e non provo quella sensazione di disagio che proverei se fosse un luogo sconosciuto. Appoggio il cellulare sul tavolo, lo metto a lato, sulla sinistra, dietro la bottiglia d’olio. Nessuno chiamerà, a meno che al lavoro non accada qualcosa che non dovrebbe. Sul volto, i soliti peli incolti, che mai riusciranno a farsi chiamare barba, ed in testa qualcosa di simile ad un gomitolo deforme di capelli, folti e privi di direzione. Arrotolo le maniche della camicia e leggo il menù. Durante l’attesa che mi separa dalle tagliatelle ai funghi, il locale si riempie. Entra un vario campionario del genere umano e si distribuisce in coppie, tris e poker. Li guardo tutti e non provo nulla. Solo qualche mese fa, avrei provato qualcosa, magari un piccolo fastidio, un pizzico di invidia, oggi non riesco nemmeno a crederli vivi. Mi sembrano attori di celluloide che popolano la mia sceneggiatura, per renderla ancora meno sensata di quello che è. La cameriera, con il volto quasi squamato da un’abbronzatura grigia, trascina la sua tristezza e scrive tutto. Qualche volta sorride. Ogni sorriso è una smorfia di dolore, sembra quasi un cadavere. Mi colpisce il maglioncino del tizio che mi siede davanti, color rosso, con una pezza bianca sulla schiena, tanto grande quanto la stessa schiena, con al centro, in nero, questo insieme di lettere “Nederland 003885”. Esco dal locale, mentre il pomeriggio comincia, e spero che venga presto sera. In piedi, vicino all’auto, senza alcuno scopo, mi faccio schifo. Mille voci affollano la mia testa, chiama qualcuno, chiedi aiuto, telefona … cazzo … non c’è nessuno a cui telefonare, un cazzo di nessuno … chiaro? … si è chiaro, lo so, stai calmo, respira. Salgo in macchina e guido. Dove devo andare? Da nessuna parte. Dovrei fare la spesa, comprare Oxygene di JMJ in DVD, comprarmi un vestito, camicia, cravatta e scarpe, andare al cinema, farmi il passaporto. Non riesco a fare nulla di più che guidare, fino a sera, fino al buio. Con il buio, solo con lui, riesco a bere. In frigo, non c’è nessuna birra, lo so. Devo per forza entrare in un supermercato. Parcheggio e prendo il carrello. Tante belle luci, tutto molto pulito, nuovo e finto. Come ci siamo ridotti, abituati ad entrare in enormi saloni, pieni di scaffali ricolmi di ogni cosa, allunghiamo la mano e soddisfiamo desideri che non abbiamo. Chi vuoi che si possa inventare il desiderio di mangiare il carcioghiotto? Metto nel carrello due peperoni, uno giallo e uno rosso. Sono impressionanti, sembrano finti, sembrano colorati con i pennarelli “carioca”, li ricordi? Quante cose ci ho colorato? I peperoni, però, non ricordo di averli colorati. Aggiungo due zucchine, del radicchio trevisano, quello amaro, pomodorini pachino e qualche Clementina. Raggiungo lo scaffale, quello giusto, con soddisfazione, ma subito cado in depressione, niente “Bière du démon” 12%. Allora cerco, controllo la gradazione alcolica e opto, come prima scelta, per la “Tennent’s Super” 9%, a seguire la “Ceres Stout” 7,7%. Spingo il carrello e proseguo gli acquisti, una signora si arrabbia perché rifiuto due yogurt in omaggio. “Due litri di latte, due yogurt in omaggio”, no grazie, non li mangio, già mi scadono quelli che compro io, si figuri quelli che non scelgo “Ma sono in omaggio” signora mia, lei dovrebbe capire che se l’omaggio non è gradito, non è gradito, vuole che li prenda e li lasci fuori dalla porta? Sarebbe più contenta così? Coraggio signora, ritorni in lei, una volta ci deve essere stato qualcuno la dentro. Il mondo ci sta scappando dalle mani e noi non ce ne accorgiamo. Alla cassa lo show continua. La cassiera chiede alla cliente di leggerle il codice dell’acqua minerale parzialmente frizzante, ma non troppo, la cliente comincia “atre2bnovemilac…”, la cassiera la interrompe “novemila con quanti zeri?”. Novemila con quanti zeri? Ma cosa sta succedendo? Aiuto! Presto, fate qualcosa! Esco sconsolato, veramente molto, e risalgo in macchina. Può avere un futuro questo mondo? Dimmelo tu, se te la senti.