domenica 14 ottobre 2007

Stanco

E’ il giorno del Signore. Ho lasciato la compagnia forzata di due miei colleghi e seduto nel carro mobile sto percorrendo una strada. Ogni muscolo, ogni tendine, tutto il mio scheletro, disegnano un mosaico nervoso di piccoli dolori. Dolori leggeri, pungenti e costanti, percorrono il mio corpo in accordi privi d’armonia. Da più di una settimana non ceno e solo la piccolissima colazione di questa mattina mi permette di restare cosciente. La strada va dalle grandi industrie alla città dotta, ed io sto cercando un luogo dove acquistare qualcosa per nutrirmi. Alla mia sinistra, un corso d’acqua, tutt'altro che promettente, riesce, inspiegabilmente, ad intrattenere diversi esseri umani con una canna in mano, intenti a pescare animali d’acqua quasi certamente in putrefazione. Mi auguro, per loro, che non gli venga in mente di mangiare il frutto di quel loro insensato passare il tempo. Attraversando cittadine nate lungo la strada, quasi prive di piazza, incontro alcuni volti, intenti a ripetere gesti meccanicamente, come esseri caricati a molla, trascinando il loro vivere con incoscienza. Io penso alle loro vite ed alla mia vita, alla monotonia di quei gesti, al perdersi di quei passi sull’asfalto invecchiato. Vedo quei mattoni e quelle pietre, assemblati in abitazioni dall’intonaco cadente, molto simili alle stanze che popolano la mia, sempre più vecchia, anima. Vecchia e stanca, oggi, come il mio corpo che implora cibo e pace, che implora un contatto, che implora ciò che non ha da molto tempo, un po’ d’attenzione. Sul volto, pochi peli incolti, disegnano una barba multicolore, gli occhi scavati da questa vita sempre più pesante, cercano l’orizzonte filtrando le immagini attraverso lenti sorrette solo dalle stanghette.
Sono stanco, dentro e fuori. Consapevole che questa mezza giornata di nulla non sarà sufficiente a ritemprare le mie articolazioni, cerco di cancellare ogni desiderio, di dimenticare ogni illusione, perché lo dice la voce che ricanta nelle mie orecchie l’illusione è il lusso della gioventù. A casa preparo il cibo e accendo la macchina lava panni.
Ora, le mie dita scrivono la mia stanchezza, scrivono per te che mi leggi, ma soprattutto scrivono per me, essere stanco di sperare e affaticato da questo continuo sopravvivere.
Le dita si fermano.
Sono stanco.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Uffi! Non è giusto. Vorrei strapazzarti. Oppure vorrei togliermi dal cuore un po' del mio modo di vedere le cose e inserirlo in te. Così sarei un po' meno stupida e tu forse un po' meno triste. Mi fai venire voglia di prendere a testate un palo della luce.

Anonimo ha detto...

...ti auguro di riuscire a riposare la mente e le membra undercover, e di ritrovare l'energia...magari è solo una specie di lungo letargo dell'anima, dal quale risvegliarti rinvigorito...

undercoverman ha detto...

No Ilaria, non farlo, lascia stare i pali della luce. Prendi la mia di testa e lanciala contro un bel muro in cemento armato.
Per quanto riguarda il trapianto del "modo di vedere le cose", possiamo provarci. Infine, tu sei tutt'altro che stupida, mentre per quel che riguarda me, ho ancora dei margini di peggioramento, ma mi farò presto.
Buona notte.

undercoverman ha detto...

Dylan, io lo definirei "letargo infinito". Ad ogni modo, è vero, dovrei riposarmi un pò di più.
Buona notte.