domenica 4 novembre 2007

Tappeto di foglie

Esco di casa, senza alcuna meta, con il motivo che mi ha spinto ad uscire stretto nelle mani, la spazzatura. Lasciata la mia produzione settimanale nel cassonetto, mi dirigo verso nessun luogo. Il silenzio domenicale mi fa stare tranquillo e il cielo, azzurro sbiadito, rende sopportabile questo mio camminare. Un cinese con i baffi, mentre guarda dentro ad un’auto, fuma nervosamente, avrà dei problemi anche lui. Sulla vetrina di un’agenzia di viaggi, un cartello rosa, circondato da cuoricini, recita “è nata Tania”, penso che dovrei scusarmi con questa neonata per non essere riuscito, in nessun modo, a migliorare questo mondo schifoso. Fallimento totale, su tutti i fronti. Mi ritrovo presto a camminare sul ciglio di una strada molto trafficata, senza marciapiede, non ho capito come ci sono arrivato, ma ormai non posso far altro che proseguire. Fa caldo, mi tolgo il maglione, nel taschino della camicia trovo il biglietto del cinema, fila J, posto 14, sabato 3 novembre, dimentico molto velocemente quello che mi accade. Raggiungo un canale, che scorre fra strada e pista ciclabile. Decido essere meglio schivare biciclette piuttosto che auto. Non sono l’unico e mi ritrovo presto in una processione, di cani, anziani, bambini, biciclette, donne, coppiette ed idioti come me, non molti a dire la verità, in tutta onestà, oltre a me, nessun altro idiota. Vengo superato da un piccolo di uomo che sfreccia sulla sua piccola bicicletta, inseguito dal padre urlante, che lo implora di fermarsi, arrancando su di una bicicletta reale. Più avanti, un altro padre accarezza il figlio addormentato sul seggiolino, ancorato al retro della sua bicicletta. Lasciata la pista ciclabile, mi infilo in stradine poco battute, passando davanti a svariati cancelli, posti a protezione di giardini privati fronte villetta. Un cane mi abbaia contro tutta la sua frustrazione e viene prontamente ripreso dal suo padrone “luna no, ho detto no, luna”, gran bel nome da dare ad un cane, davvero bello. Su di una panchina, in un giardinetto pubblico, due giovani si baciano, una fitta al petto, dove una volta cera il cuore, mi spinge ad accelerare. Ci sono già passato, poi deve essere successo qualcosa, qualcosa che non ho capito, paura, egoismo, imbecillità, e passi dal bacio su di una panchina ad una passeggiata, da solo, trascinando la tua esistenza. Riprendo il controllo e mi rendo conto, solo adesso, che sto camminando su di un tappeto di foglie morte. Bianche, gialle ed arancioni, secche e morbide, ricoprono l’asfalto, nascondendo le mie tracce.
E’ un caldo autunno, io continuo a camminare.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche io appartengo alla specie dei camminatori/idioti domenicali... ;-) Spesso con pensieri simili ai tuoi, soprattutto di questi tempi, in cui sono un po' giù di morale.
Ma: proprio guardando il papà col bambino o la coppietta che si bacia felice, so che basta un niente (chissà forse coraggio, generosità, intelligenza emotiva) per passare da una passeggiata triste e solitaria al bacio su una panchina, e viceversa. E' questo viceversa il punto: a che serve stare male, "sprecare" inchiostro o letterine luminose su uno schermo per un dolore che forse tra qualche anno ci parrà piccolo piccolo? Si può fare anche il discorso contrario (riguardo ai momenti felici) ma è meno "utile". Boh, lo chiedo a te, lo chiedo a me... anche stare così male, e dirselo, è una vanità passeggera, uno stato d'animo che oggi c'è e domani no, anche se sembra così invincibile e determinato a pesare sul nostro cuore per l'eternità. Se ci pensi, non serve a niente essere troppo infelici o troppo felici. E' tutta una nostra fissazione, che viviamo come realtà ma poi, in fondo, non è niente di sensato o di valido... Domani sarai felice e tutto questo non sarà più niente, se perderai di nuovo quella felicità non la ricorderai più se non come un sogno lontano, e intanto la vita passa e va senza averci capito un bel niente.

undercoverman ha detto...

Ilaria.
La tristezza che mi accompagna, giorno dopo giorno, nasce proprio dal fatto che "la vita passa e va senza averci capito un bel niente". Nulla ha senso, scrivere o non scrivere si equivalgono, condividere o non condividere, non muta il divenire. Qualche volta mi chiedo cosa potrebbe rendermi felice e se lo sono mai stato, ma capisco subito di non potermi rispondere. Il concetto di felicità non mi appartiene, e cerco di rifugiarmi in quello di serenità. Ma la serenità non cancella la tristezza, che abbassa lo sguardo e che trattiene i sorrisi.
Si, non serve a niente, questo è il punto, non serve a niente.
Leggere questo tuo commento, però, ha reso piacevole il mio tempo.
Ciao.