domenica 29 luglio 2007

Aspettando

Da qui non riesco ad uscire. Figlio di quella parte di mondo, nella quale la cosa più importante sembra essere soddisfare desideri che non hai, mi ritrovo perduto nell'assenza di bisogni primari. Apparentemente godo di buona salute, ho un lavoro che mi consente di pagare affitto e cibo, mi muovo con una scatola di metallo su quattro ruote, ricevo voci ed immagini tramite apparecchi escogitati alla bisogna e da qualche giorno scrivo all'interno, sopra, sotto o dentro la rete. Tutto questo è conforme al modello che mi è stato presentato sin da piccolo. Quindi come logica conseguenza, dovrei essere contento, sereno e soddisfatto. Sono libero, vivo da solo, niente moglie, niente figli, nessuna responsabilità. Ancora qualche riga e comincio ad invidiarmi. Si dovrei farlo.

Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura - ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue. Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità.
Jean-Paul Sartre "La nausea" - Einaudi


La malattia nasce dalla consapevolezza di non essere in grado di soddisfare i bisogni secondari. Forse sono così assurdamente viziato da non avere nessun bisogno da soddisfare. L'amico Sartre parla di disagio, lascia traspirare anche la vergogna, per quei pensieri, per i miei pensieri. Niente lacrime da piangere, quasi un luogo comune; nessun motivo reale per soffrire, un dato di fatto. Ho bruciato quel poco di buono che il tempo mi ha concesso, ho fatto scappare chi voleva restare.

Now I'm really rather like you, for I've killed all the love I ever had, by not doing all I ought to, and by leaving my mind coming bad. And I too am a killer, for emotion runs as deep as flesh, and I too am so lonely, and I wish that I could forget.
Van der Graaf Generator - "H to He, Who Am The Only One" - Killer

Ma il problema sembra essere più grave. Una sorta di mostro convive all'interno della mia persona, si nutre del mio dolore, e deve quindi procurarmelo. Allontanando qualunque persona voglia darmi una mano, mantiene la mia solitudine costante, fino a renderla l'unica cosa che veramente conosco, fino a rendermela indispensabile. Una situazione niente male. Tu non devi preoccuparti, ho detto che si nutre del mio dolore, non del tuo, per te non ci sono pericoli. Dormi in pace, io continuo ad aspettare che anche lui si addormenti. Buona notte.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il mostro verde che nutre ed articola tutte le solitudini vive meglio se lo guardi. Ma se non lo guardi e ti spieghi punto per punto per quale motivo ti piace essere così solo, ti piace far fuggire tutti oppure non ti piace ma ci sei costretto dal mostro verde che ti siede accanto... più ti spieghi tutto questo e più diventa complicato uscirne fuori.
Il tempo non esiste. Il tempo è soltanto un'opinione, ma molto diffusa.
UrbanRat

undercoverman ha detto...

Non sono in grado di spiegare come funzioni il mostro o di intuire se vi sono possibilità per allontanarlo. L'unica cosa che so è che esiste ed agisce con lo scopo di conservare la mia solitudine, bramandola ansiosamente.
Si, il tempo non esiste, è un concetto che permette di misurare il divenire; finito il divenire (come già detto da qualche altra parte) finisce il tempo.
Ciao e grazie Urbanrat