martedì 22 gennaio 2008

Insieme

La città galleggia, non sono a casa. E’ domenica mattina, non sono solo. La luce che filtra dalla finestra, permette ai miei occhi di confermare quello che il mio corpo già mi dice, ti sto abbracciando. Ti bacio la spalla, ti bacio i capelli, ti bacio la guancia, ti giri e, con gli occhi ancora chiusi, mi sorridi, ti bacio il sorriso e ti bacio anche gli occhi. "Ciao bellissima, come stai?" “Bene”, mi rispondi con un filo di voce, ti bacio la voce. Sei bellissima, ti guardo e non sparisci, ti guardo e sei reale, ti guardo e mi perdo in te, in ogni parte di questa tua anima che mi avvolge senza lasciarmi scampo. Non è un sogno che si sogna dormendo, è un sogno che si sogna vivendolo. So di essere sveglio e so di essere dentro un bellissimo sogno. Non posso perdere nemmeno un secondo del tempo che mi è concesso passare accanto a te, per questo ti bacio, lo faccio sottovoce, per questo ti guardo dormire, non l’ho mai fatto, ma so che lo rifarò ogni volta che dormirai accanto a me. Ringrazio il Dio della solitudine per avermi lasciato solo, ieri sera, ad aspettarti, solo alle porte della città che galleggia. Ringrazio Sorrentino, persona che non conosco, ma che ha permesso alle nostre anime di conoscersi, ancora prima di incontrarsi. Ringrazio tutto e tutti, per avermi portato a vivere questo momento. Non mi illudo, non mi aspetto nessun domani, vivo questo momento, questa domenica mattina, con il rumore dell’acqua che sale dai canali. Continuo a baciarti, sei bellissima e te lo ripeto mille volte. Più tardi ci saluteremo, ma ora sei ancora qui, sono ancora qui, siamo qui insieme. Ti ringrazio.

sabato 12 gennaio 2008

Lei sei Tu?

Come posso pensarti così tanto? Come ha potuto la mia mente ricordare i tuoi occhi, splendidi occhi, vincendo il torpore del nettare d’acino? Pochi minuti, pochi attimi, io e te di fronte. I tuoi occhi su di me, i miei, pieni di paura, pieni di vergogna a guardare altrove. Perché mi ritrovo come un ragazzino a pensarti regina dei miei giorni? Quanto dolore proverò? Hai detto si, ma mi aspettavo no. Hai detto si, e adesso non so. Dove andremo, cosa guarderemo? Riuscirò a parlare di te con te? Lo sai che non sono normale? Sei riuscita a capirlo? Ho paura. Ho paura di farti paura. Ma penso ai tuoi occhi, mioddio che occhi! Occhi pieni di sorriso, occhi pieni di melodia, occhi che avvolgono il tutto. Lascerai che questo uomo si perda in essi? Ho paura. Dove si va? Come si va? Cosa si dice? Come si dice? Ti prego non aspettarti nulla, ti prego si paziente con me. Tremo e non dovrei, ti penso e non vorrei. Come farò a parlare a quegli occhi, io che non parlo da anni? Perché sento tutto questo? Perché provo tutto questo? Perché non sono normale? Come farò a farti capire? Come farò a farmi scoprire? Per me sarà come vedere la prima volta la neve, sarà come imparare a nuotare. Non mi aspetto niente, non desidero niente, perché ho con me il tuo “si”. Ancora pochi giorni e ti avrò davanti, ancora pochi giorni e potrò morire, dentro quegli occhi, dentro ai tuoi occhi. Questa sera lontani, ma ti aspetto come si può aspettare la cosa più preziosa, come si può aspettare la luce dopo anni di buio. Non chiedo niente, solo qualche ora da passare dentro ai tuoi occhi, dentro a quei tuoi splendidi occhi, occhi nei quali si nasconde tutta la tua anima.

giovedì 10 gennaio 2008

Buio

Riapro questa porta ed è molto buio quello che c’è dentro. L’aria sfoga la sua elasticità sui miei timpani, non provo dolore, per lo meno non fisicamente, è più uno strazio sotto cute. Ruoto attorno al niente che rappresento e penso a lei. Lei che non c’è, lei che non c’è mai stata e che non riderà di me nemmeno domani. Quante stagioni bruciate, ormai ridotte a scorie, gettate in una fossa comune, senza nome, senza tempo. Vibra il mio essere vivo, vibra la mia mente malata, sempre più malata, sola, sempre più sola. E’ un labirinto in costruzione, sempre più lungo, sempre più stretto, sempre più buio. Seguo il ritmo, lentamente cavalco le onde, mi immergo nel nulla. Raccolgo lacrime che non mi appartengono, lacrime che non bagnano, lacrime che corrodono. Le pulsazioni non si fermano, sono condannato, non sono ancora arrivato. Appoggio le mani su pareti che non vedo, pareti rivestite di lame, lame che incidono la carne senza provocare dolore. Sto cercando qualcosa che mai troverò, sto trascinando un animo inquieto, in continuo delirio. Sono stanco, per favore, basta. Futuro di carta pesta, futuro di fango e terra marcia, maleodorante, dai miasmi insopportabili. Ti prego, basta. Sorci e scarafaggi, vermi e sanguisughe, tutti qui a farmi compagnia, a farmi sentire uno di loro. Le risate isteriche, le dita puntate, sono incubi senza paura. Ridono di me, rido con loro, io inutile creatura, continuo a consumare risorse, rubandole a chi ne vorrebbe di più. Quante volte dovrò provare il dolore donato? Quel dolore che ha fratturato un sogno, quante volte lo dovrò ancora provare? Folle ed inutile carne, trascino dentro un grande tubo di scarico. Lasciami stare. Sparisci e continua a tenermi compagnia.

domenica 6 gennaio 2008

Minore

La mia vita è una melodia minore, una partitura scritta per un solo esecutore, uno strumento solista. Come è umida l’aria questa sera, come è buona l’aria questa sera. Godo il silenzio di questa calma, il tepore di questo luogo che non mi appartiene. La rassegnazione prende in mano le redini, traccia il cammino. Vorrei parlare dell’olio di pietra, vorrei parlare dei novantadue elementi, ma nessuno può ascoltare la mia voce. Stanco di desiderare compagnia, costringo la mente ad implodere su letture sagge. Quanto tempo ci resta? Riesci a riposare senza angoscia? Le gocce, cadute da quel arco di pietre, bagnano il bavero di questa mia giacca. Le mani in tasca giocano con le cuciture, i polmoni implorano una sigaretta. Sono triste? Non lo so, vorrei poterti dire di no, ma non lo so. C’è qualcosa la davanti? Non riesco a vedere, tengo la testa bassa, non vedo cosa c’è oltre. Il mondo non è pronto ad affrontare il futuro. Io lo sono ancora meno.