
lunedì 31 dicembre 2007
Aspetterò

No grazie!

Nel Rapporto Nazionale del 2006 “Uso dei farmaci in Italia”, emesso dall’Osservatorio Medico, si legge che è possibile curare con farmaci alcuni dei disturbi psichici. Per la precisione è possibile trattare la Depressione Maggiore, i Disturbi Nevrotici, i Disordini Psichiatrici e le Psicosi non Organiche.
Per tutte queste patologie, ammesso che lo siano, sono quattro i principi attivi più prescritti, e di conseguenza assunti: Paroxetina, Citalopram, Sertralina, Escitalopram. Questi principi attivi sono contenuti in farmaci quali Seroxat, Zoloft, Seropram, Cipramil e Cipralex, tutti prodotti e distribuiti da due multinazionali del farmaco: GlaxoSmithKline e Lundbeck. In apparenza la Eli Lilly, produttrice del ben noto Prozac (Fluoxetina) e del meno noto Cymbalta (Duloxetina) sta subendo, negli ultimi anni, una certa concorrenza.
Nutro una completa diffidenza nei confronti delle droghe sintetiche ed assimilabili, così come non credo nelle capacità di psicologi e medici.
Quando mi sento dire, “perché non vai da un medico?”, “perché non ti fai dare una mano?”, capisco quanto sia facile essere catalogati come persone malate.
Se non ho voglia di ridere, se non credo che questo mondo assurdo abbia un futuro, se i telegiornali mi nauseano, devo per forza considerarmi un depresso? O meglio, devo pensare di aver contratto la depressione?
No grazie!
sabato 29 dicembre 2007
Rapito
Emilie Simon - Flowers
Emilie Simon - Emilie Simon (2003)
Questa ragazza mi ha rapito. I miei capelli stanno comme quelli di werewolf. Saltello anch'io, insieme alla bimba, in quell'allegro praticello con tante pietre.
venerdì 28 dicembre 2007
Cattivo
Lo so, siete tutti più buoni.
Io non ci riesco.
Vi chiedo scusa.
domenica 23 dicembre 2007
sabato 22 dicembre 2007
Infinita tristezza

Parcheggio l’auto vicino alle aule che in passato ho frequentato, in questa città che uso come rifugio, come dolorosa dimora per questo mio vecchio cuore a pezzi. Mi incammino, a stomaco vuoto, verso il centro. Maledico l’autista di un autobus che sfreccia sulle strisce pedonali, lo faccio a voce alta, senza volerlo, e attiro l’attenzione di alcuni passanti. Proseguo alla ricerca di me stesso, senza rendermi conto che sono proprio li con me. Oggi, incrocio molta bella gente ed anch’io, vestito di tutto punto, mi sento un po’ bello, diciamo che una leggera bellezza malinconica ricopre il mio volto, oggi senza peli e con i capelli pettinati. La gente è dappertutto, esce dagli angoli per sparire dietro ad altri vicoli, sbuca dai portici e si muove in ogni direzione, da non crederci. Un signore con la pipa, lascia un ricordo nelle narici, ed io incespico su di un tombino, l’ho guardato bene, era diverso dagli altri, li stanno cambiando. Se guardi una cosa con attenzione finisci per inciamparci sopra, accidenti. Vivo questa giornata senza scopo, come l’intera mia vita e non riesco a maledirmi.
Mi ci vuole del tempo per trovare il libro che devo comprare, hanno cambiato l’ordine degli scaffali e dei reparti, questa libreria sta peggiorando, si sta vestendo di modernità. Un giovane si scontra con una commessa, non riescono a mettersi d’accordo su chi dei due debba portare il libro alla cassa. Io no, non ho la tessera, l’ho detto anche al benzinaio, non mi interessano i punti, non voglio avere tessere, premi, sconti, voglio solo pagare i libri ed uscire.
Mi fermo un attimo davanti ad una vetrina, una paio di scarpe settecento euro, ho sbagliato vetrina. Un mimo argentato, mi strizza l’occhio ed io non riesco nemmeno a salutarlo. Ancora bella gente incrocia il mio cammino, vorrei urlare la mia solitudine, ma lascio perdere ed entro nel secondo negozio. Vorrei acquistare “Strade perdute” di David Lynch, ma non lo trovo, porto alla cassa Oxygene new master recording ed assisto al piccolo show della giovane commessa. Mi coglie di sorpresa con il suo sorriso e le sue battute, cerco di nascondere il mio imbarazzo, ma credo di non esserne in grado. Mi saluta con sorrisoni e battutone, lascio il negozio incredulo.
Un altro mimo, questa volta dorato, tenta di fingersi immobile, ci riesce talmente bene, che non lo nota nessuno.
Non so cosa pensare di queste feste e dei prossimi varietà, so che non riuscirò a trascorrerle con serenità, so che anche quest’anno perderò un’altra possibilità.
A casa, mi siedo in silenzio, e mi lascio stare.
Sono triste. Domani, forse, non lo sarò più.
martedì 18 dicembre 2007
La mia pianta

Nell’angolo della porta, vicino al tappeto blu e nero, sembra un piccolo ciuffo verde privo di significato.
Ogni sera, quando rientro la trovo li, con la sua fierezza ed indifferenza e sorrido.
domenica 16 dicembre 2007
Morto

Il mio cervello non mi lascia stare. Spinge il mio pensare da cose sensate a cose per niente pertinenti. Il sistema "cuèrti" attira la mia attenzione, impossibile dedurlo senza aver mai visto i martelletti incontrarsi sulla carta.
Io, nato per vivere da solo, non ne ho la forza. Ormai sono stanco anche di commiserarmi, senza un particolare motivo. Racchiuso nella parte più buia e nascosta, che anche tu ti porti dentro, non riesco e non voglio uscirne. Non voglio credere alle grandi illusioni confezionate, alle promesse di soddisfazione, alla realtà virtuale che ci viene continuamente offerta. So di non poterti incontrare, so che è meglio così, so di dover smettere di scriverti. Non serve a farci sentire vicini, serve a riempire quel che resta del cuore, di piccole ed inutili illusioni. Scriverò ancora, non so di cosa e non so perché, ma lo farò. Non avrò niente da dire, come niente ho detto fino ad ora.
Quello che c’è la fuori è tutto finto. Ho bisogno di qualcosa di vero.
Il vento bussa alla mia finestra, ma lascio stare sia lui sia la finestra e mi siedo sul divano. Ascolto il mio corpo, quei piccoli doloretti che scorrono lungo i muscoli e le giunzioni, il torace che segue la frequenza del respiro, il cuore che batte nelle orecchie. Sono carne, involucro di me, strumento meccanico vivo, contenitore di informazioni emozionali. Reagisco agli stimoli sensoriali, non sono ancora morto. Il corpo è vivo e sano, in buona salute. “Prima cosa la salute”. Appunto, da questa prima cosa devo partire. So di dover lavorare sulla salute della mia mente. Devo rendermi libero dai condizionamenti del passato, da quello che mi ha reso come sono. Devo riuscirci da solo.In questo luogo nero, come la mia esistenza, dove il bicchiere mezzo vuoto, lo è grazie alla fisica, mi interrogo sul mio futuro. Penso alla copertina di Oxygene, a quello che sta sotto, a quello che non è immagine, ma che rimane celato, custodito, perché fa paura, come il teschio, vuoto e severo che nascondi sotto alla tua carne. Penso a Memento: “Quando bacio il tuo labbro profumato, cara fanciulla non posso obliare che un bianco teschio vi è sotto nascosto. Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso, obliar non poss'io, cara fanciulla, che vi è sotto uno scheletro nascosto. E nell'orrenda visione assorto, dovunque o tocchi, o baci, o la man posi, sento sporger le fredde ossa di un morto”, poesia amica, di quest’uomo che non può fermarsi in superficie.
Se ce la farò, fra non molto, andrò ad immergermi nell’acqua. Acqua ricca di cloro, acqua che isola e che amplifica il dolore della mente, poi, con la forza di un cadavere ambulante tornerò alla mia dimora, lontano da tutto e senza alcuna speranza.
Non sono morto, ma oggi vorrei esserlo.
martedì 11 dicembre 2007
Troppo tardi
(Doo-doo-doo's)
It's too late (too late, too late)
Said it's too late, yes it is (too late)
My love is gone away to stay (too late)
Don't you know it's too late now
Listen, children, I wanna tell you this
It's too late to cry (too late to cry)
It's too late to cry now (too late to cry)
My love is gone away, yes she has (too late)
Wo wo (too late) she has (too late)
(spoken):
I just guess that you're wonderin' why I always sing a sad song
But you see, I had a woman who was very good to me & I can remember the times she used to sit down & tell me these words:
Said, "Pickett, I want you to know I love you from the bottom of my heart & whatever you need, I don't want you to go to your mother, your father, your sister or your brother I'll be a leadin' pull when you're fallin' down
When all your money's gone, I want you to know you can count on me" But I didn't appreciate that woman then
You know what? I had to run & chase after every little girl around town
So finally one day I got home & I found my little girl gone & people, you know it hurt me so bad (ha ha) I had to hang my little head & cry
Then I began to read the letter she left for me layin' there; it read like this, children
It's too late, she's gone, oh (she's gone)
"It's too late I'm gone away" (she's gone)
Ah yeah (too late) don't you know it, children (too late)
Yeah yeah yeah yeah yeah yeah
Say it one more time (too late) listen (too late)
I wanna hear you understand what I'm talkin' about (too late)
Fastidio

sabato 8 dicembre 2007
Forse

Non ne hai voglia di partire, quest’anno non ne hai voglia, ma come l’anno scorso, prepari la valigia, percepisci il disagio, la nostalgia dell’arrivederci, di quell’essere umano che lasci per incontrarne un altro, che a sua volta lascerai per tornare al punto di partenza. Una sorta di ciclo, che ti vede ogni volta diverso, ma senza che tu te ne renda conto. Parti con la tristezza nel cuore, che ancora ti sembra vivo, perché lo senti, perché ti chiede di fermarti, ma tu non puoi e allora non lo ascolti. Parti e guardi dal finestrino, il verde, sempre uguale, ma diverso ogni volta, le case, i palazzi e i prati, quanti prati, ma saranno prati? Non lo so, l’erba non sembra molto in forma, forse è tutto morto, e quei campi coltivati, li vicino alle rotaie, non produrranno certo cibo, non lo credi possibile. Chi mangerebbe del pane con farina cresciuta ai piedi dell’autostrada? Chi? Fumi qualche sigaretta, ti senti grande, stai viaggiando da solo, sono più di cinquecento chilometri, sei veramente un ometto. Ma sei triste, e non ti sai spiegare il perché. Forse perché sai che quando aprirai la valigia, il tempo non si fermerà e non potrai buttarla via, perché dovrai fare ritorno. Ma da dove sei partito non lo ricordi più, non sai se torni quando sei qui o se parti da qui per tornare li, non lo sai. La cosa che sai è che dovrai partire nuovamente. Non appartieni a nessun luogo.
E’ così che ti ritrovi solo, dopo molti anni, intrappolato su quel treno a guardare fuori senza riuscire a vedere nulla. Non sai nemmeno se il treno si sta muovendo, se è giorno o notte. Non fumi da quasi tre mesi, ma in mano hai una bottiglia. Scrivi perché nessuno scriverà di te, e di te non potrai leggere nessuno scritto. Scrivi perché sei triste, scrivi perché hai paura. Scrivi perché essere soli fa paura. Domani sarai li, all’uscita dell’autostrada, domani non sarai solo. Sarai spaventato, senza forze e molto triste, ma non lo darai a vedere. Fingerai serenità.
Domani, forse, sarai sereno veramente, senza fingere. Forse.
martedì 4 dicembre 2007
Sento

Sento il sangue fluire in me, lo sento così vicino, come se io fossi presente in ogni tessuto, in ogni vena.
Sento la tensione, accumulata con il passare delle ore, la giornata finisce, lei non se ne va.
Sento il dolore, in queste mie ormai vecchie ossa.
Sento l’aria poggiare le sue mani sul mio volto.
Sento le note di questa canzone, così sciocca.
Sento l’odio che cresce, mai ho odiato più di quanto non stia odiando me stesso.
Sento la disperazione, crescere, espandersi, invadere ogni mia cellula.
Sento le grida che vorrei urlare, ma non ho voce, questa sera non ce l’ho.
Sento la tua voce, che da molto tempo non mi parla più.
Sento il tuo respiro, che più non ruba il mio spazio.
Sento la fronte poggiarsi sui miei palmi.
Sento il sapore di quello che non ho assaggiato.
Sento il rumore di cristalli di neve, che non cadranno più su questo mio corpo.
Sento il peso di questa mia condanna.
Sento di essere vivo.
Sento e non vorrei.
domenica 2 dicembre 2007
Grigio
sabato 1 dicembre 2007
Novemila

mercoledì 28 novembre 2007
Paracetamolo

C’è di peggio. Questa notte, in sogno, ho ucciso due amici di gioventù, e mia nonna, morta ormai da tempo, mi spiegava come fare per non farmi beccare.
domenica 25 novembre 2007
Il posto mio
sabato 24 novembre 2007
Nessuna meta

Non so come farò a proseguire questa giornata, così pesante ed insopportabile, comincio a temere di non riuscire a trovare la forza necessaria per continuare a sperare. Lavo i piatti e metto apposto, nel limite delle mie possibilità. Mi vesto ed esco. Nessuna meta, come sempre. Nessuno da incontrare, come sempre. Mi rifiuto di andare a fare la spesa, non ne ho il coraggio, muovermi fra gli scaffali, ricolmi di cibo, potrebbe essermi fatale. L’aria è appiccicosa, a tratti disgustosa. La macchina si muove regolarmente e mi porta in una delle tante città venete. Non ho l’ombrello, piove copiosamente. Scendo dalla macchina e m’incammino verso nessuna meta. La pioggia comincia a penetrare nelle scarpe, nei pantaloni e lungo il collo. Cammino assente da me, come non mi era mai successo. So di essere vivo, ma non riesco a capire fino a che punto.
Prendo in mano un CD e cerco di leggere i titoli che lo compongono, quando alcune gocce bagnano mano e copertina, mi rendo conto di essere completamente lavato. Passo una mano fra i capelli, ma la fermo subito, c’è così tanta acqua che rischierei di far affogare le persone che mi circondano, meglio tenermela in testa. Forse questa volta riuscirò ad ammalarmi, un bel febbrone da cavallo, qualcosa di pesante, qualche mese di mutua. Compro un po’ di musica, che si rivelerà, in seguito, una schifezza, ed esco per riprendere il colloquio con l’acqua del cielo.
Mi infilo in un ristorante, senza capirne il motivo, e seguo la cameriera che mi lascia ad una tavolo con una smorfia di circostanza. Mi siedo, ordino ed aspetto. Se qualcuno mi chiedesse cosa vuol dire solitudine, gli risponderei “pronunciare le prime parole della giornata alle 19:30 – tagliatelle agli eremitani – ad un cameriere che non rivedrai più”.
Il desiderio di fumare è enorme, ma la mia apatia è tale da impedirmi anche solo di immaginarmi mentre mi accendo una sigaretta. Salgo in macchina e guido verso casa. Mi ritrovo bloccato in un ingorgo. Da qualche parte, qui vicino, questa sera si terrà un concerto.
Ti prego, regina delle cartomanti, leggimi il destino, dimmi che non mi resta più molto da vivere, salvami, tu che puoi, da questo mio orrendo futuro.
Entro in casa, senza voglia di continuare, e stappo la prima bottiglia. Questa sera voglio bermi anche l’anima. Caro massimo, vai a fare in culo.
giovedì 22 novembre 2007
Questa sera

Ci ho provato.
Continuerò a farlo, nello stesso modo o in maniera differente, ma non questa sera.
Stanco di me e del mio modo di vedere le cose, confesso l’evidenza di aver compreso che non serve a nulla pretendere di poter condividere noi stessi con altre persone. Non era per niente importante che la persona che cercava in me solo una piccola cosa, non restituisse ai mie occhi la comprensione del mio essere complicato. Non molto avrei dovuto restituirle, un abbraccio caldo e forte, una carezza e poche domande, semplici, ma vere, magari anche uguali a quelle del giorno precedente.
Temere le conseguenze di scelte non fatte, solo perché altri, molto vicini a te, le stanno ancora pagando, porta a quello che sono. La procreazione come generazione di dolore è pensiero di persona debole e forse troppo piccola per difenderne il contenuto.
“She can kill you with her smile”, lei può ucciderti con un sorriso. Questo vorrei provare. Ma non funziona così.
Oggi ha piovuto. Tante parole sono state scritte sulle gocce dal cielo, ne ho scritte anch’io nel passato, ma oggi la pioggia ha fatto una cosa molto semplice, mi ha bagnato. La coda in autostrada, in compagnia di un collega, di ritorno da una trasferta, non è stata niente di più. I due panini per pranzo e le parole scambiate, non hanno cambiato il destino del mondo. Le notizie alla radio non mi hanno infastidito.
Questa sera, ascolto la mia voce senza pretese.
Questa sera, accetto le tue critiche.
domenica 18 novembre 2007
Settimane

Le settimane passano senza lasciare traccia e con gran difficoltà distinguo in quale periodo mi trovo. Il calendario m’indica che ormai siamo oltre la seconda metà dell’undicesimo mese. Un altro anno scivolato via, perso in momenti senza ricordo, in fatti senza importanza. Come fare a non pensare a Battiato? A “come ho speso male il mio tempo, che non tornerà, non ritornerà più.” Questi enormi lenzuoli, sui quali ho solo poggiato i piedi, come grandi fogli di un gigantesco calendario, senza capirci nulla. Dove mi sono lasciato andare? Quando ho mollato?
Questo fiume, che continuo a vedere nei miei ricordi, in mezzo a montagne che tanto del mio dolore custodiscono, mi chiama senza voce. La voglia di salire in macchina e di guidare per oltre cento chilometri, che mi separano da questo ricordo, è molto debole. Ricordo di luoghi che mi hanno visto solo di passaggio, ricordo ricorrente e paranoico.
Se la gioia di vivere mi ha tenuto compagnia, io non me ne sono accorto, ma le sono grato comunque.
Ricordi della città dei miei studi alti, di una parete inclinata, la facciata di una chiesa. Le sigarette fumate, mentre correvo tra aule e collegio, con lo sgabello sotto il braccio e gli occhi a seguire linee regolari fra i porfidi. Il primo semestre, il migliore. Buio e freddo, pieno di nebbia e silenzi, odiato con tutto me stesso e adesso quasi gradevole, prezioso ricordo, del mio essere stato nulla anche allora.
Verso questo liquido nello stomaco e riempio le mie orecchie con note d’ogni genere. La voce di Fish fa male, ma io non lo sento più. “Tu stai male, perché a te piace stare male.” Così, quella che è stata la mia vita per dodici anni, liquidava la nostra prima settimana.
“…when I look into your eyes, I don’t know what to say to you…” eggià, non l’ho mai saputo, come si fa a dire quello che non può essere ascoltato?
Hai mai fatto caso come l’arpeggio di chitarra sia in grado di aprirti i recettori delle emozioni? Io lo sto subendo ora, in questo momento, ed è piacevole, come una puntura sulle tempie.
“Posso lasciarti un omaggino simpatico?”, così la mia barista preferita, quella sempre incazzata, mi ha spiazzato tre mattine fa. Non riuscivo a crederci, donna tutta di un pezzo, seria e severa, mi sorride e mi dona un portachiavi made in china, gadget pubblicitario inutile, ma in grado di lasciarmi senza punti fermi. Non è più incazzata, non è più lei. Cosa le sarà saltato in mente?
Altre parole raggiungono le mie orecchie, ed altri ricordi affiorano. Se non vivi la tua vita, non ti resta che ricordarla. Anni trascorsi lungo la pedemontana, muffa sui muri, riscaldamento spento per risparmiare, niente mobili. Quelle grosse lumache, senza guscio, che calpestavo quando uscivo, distratto, a sbattere la tovaglia. Caro il mio passato mal speso, potrai mai perdonarmi? Ti ho odiato quando eri presente, ti preferisco ora che sei lontano.
Gli addobbi per il grande “varietà religioso”, mi hanno quasi nauseato, dovevo solo comprarmi la cena, cose da single, non ero certo pronto a subire quella violenza di colori e luci, a novembre, ma come siamo ridotti?
Vorrei poter dormire, ancora una volta, in quella casa sopra la stazione. Fammi un regalo, solo per questa notte, fammi addormentare lungo quella ferrovia piemontese, tu puoi riuscirci, ho bevuto abbastanza, non sarà difficile.
Ciao.
venerdì 16 novembre 2007
Buio

La mente si muove da sola, inseguendo pensieri che non portano da nessuna parte. Paura del buio. Non ho paura del buio, quello che posso vedere con gli occhi, quello delle stanze che compongono la casa in cui abito, nemmeno di quello delle stanze che non conosco. Non ho paura del buio, ho smesso anni fa. Temo, però, il buio che si annida in me, in luoghi che non vorrei contenere, in forme che non vorrei sentire, in modi che non vorrei conoscere. Mi chiedo se potrò mai comprenderlo, mi chiedo se sia vero o se sia solo una mia percezione distorta della realtà, che filtra attraverso la mia storia, attraverso il mio passato, iniziato nella culla e cresciuto assieme a me.
Sono in ritardo, mi sto aspettando da troppo tempo e non riesco in nessun modo a raggiungermi. Aspetto di potermi parlare sul serio, di potermi perdonare, di stringermi la mano e, con una pacca sulla spalla, indicarmi la strada da seguire. Aspetto da tempo ormai.
In queste condizioni raggiungo casa.
Apro il frigo, ci guardo dentro, e mi intristisco. Non che prima io fossi felice, è solo che quello che i miei occhi vedono aumenta di un po’ la tristezza, che già mi tiene compagnia. Mi riesce difficile ammettere di essere riuscito ad ottenere quello che volevo, per poi rendermi conto che non volevo nulla. Una casa vuota, non mia, un frigo vuoto, non mio, una vita vuota, non mia.
Capisco di non poter proseguire, per questa sera credo possa bastare.
Perdonami.
… why are you running away? …
lunedì 12 novembre 2007
Ieri

Le vie del centro sono piene di gente, coppiette, bambini, famiglie, nonni e nipoti, comunitari e non, tutti in movimento, tutti in apparenza vivi. Mi muovo cercando di non dare nell’occhio e m’infilo in un noto negozio di CD ed affini. Cerco fra le novità e rimando l’acquisto di Vecchioni senza capirne il motivo. “Mi scusi lei lavora qui?” No signora, mi dispiace. Povera signora, non ha tutti i torti, non potrò mica essere un cliente così imbecille da girare in camicia, quando tutti indossano voluminosi giacconi e paltò colorati. Quando non voglio dare nell’occhio, ci riesco sempre.
Mi dirigo verso un altrettanto noto negozio di libri. Lungo il tragitto, non posso fare a meno di notare la coppia che mi viene incontro, lei sfoggia le sue grazie con estrema scioltezza, tanto da farmi pensare che, o non fa così freddo come sembra, oppure si è anestetizzata l’armamentario. Non dovrei far caso a queste cose, ma la carne è debole, anche se la mia la pensavo imbalsamata da tempo. Sarà.
Un tango per fisarmonica e tromba, che spettacolo. Che sia questo il motivo per il quale mi trovo qui? Ma che motivo vado cercando, non c’è mai stato nessun motivo per nessuna situazione, sono figlio del caos, una semplice variabile aleatoria. Rido di me, con soddisfazione, e accenno qualche passo danzante. All’interno, mi dirigo spedito alla ricerca di qualche novità sull’oro nero, ma nulla di nuovo è stato pubblicato. La corsa si è fermata a 98,6 $/b, dovrò aspettare ancora per festeggiare la fine di questa nostra caotica ed inutile civiltà, ma rimango fiducioso. Vado alla cassa con ‘Elementi’ e ‘La lunga notte del dottor Galvan’. “Ha la tessera?” No grazie. No grazie? Ma che risposta ho dato?
Un giocoliere lancia in aria palle colorate, le immagino restare sospese, catturate da un campo antigravitazionale, ma quando toccano terra ricordo il concetto di forza peso, vettore dotato di direzione e verso. Verso il basso, come il mio sguardo, che sia colpa della lettera “g”?
Sbaglio strada tre volte, il mondo si sta riempiendo di rotonde, e alla fine torno a casa.
Leggo e faccio gli homeworks, passo l'aspirapolvere e lavo i piatti.
Ma questo è accaduto ieri.
domenica 11 novembre 2007
Monotonia

Perdona quello che non sono riuscito a restituirti, e concedimi un’altra possibilità, cercherò di migliorare.
Questa notte, posso solo sistemare le note, su di una sola riga, a creare un perfetto esempio di monotonia.
L’ultimo sorso è il nostro brindisi e la nostra buona notte. Dormi bene.
venerdì 9 novembre 2007
Buco nell'acqua

Cerco di capire cosa resti di me, senza stimoli dall’esterno, senza distrazioni sensoriali, solo con il mio cervello, solo con il mio contenuto. Mi guardo da lontano, da diverse prospettive, dall’alto e dal basso, da sinistra e da destra e non riesco a capire quel che vedo. Non guardo con gli occhi e forse non sto nemmeno guardando, ma quello che percepisco non mi piace. Vorrei farlo vedere anche a te, che porti i tuoi occhi su queste parole, vorrei osservare la smorfia sul tuo volto, vorrei confrontare i nostri punti di vista. Lo vedi anche tu l’egoismo? Provi anche tu questo fastidio?
Lascia stare, non badarmi, sto sprecando il nostro tempo. Sto cercando, ancora una volta, di fare un buco nell’acqua.
domenica 4 novembre 2007
Tappeto di foglie

E’ un caldo autunno, io continuo a camminare.
Respiro

giovedì 1 novembre 2007
Cellophane

Questa mattina, davanti allo specchio, senza la maschera (quella la lascio in macchina), ho visto il mio volto putrefatto e piagato, sotto questo film trasparente, che nulla lascia libero, ed ho capito di essermi sbagliato. Ho sbagliato a non tagliare questo film, quando, con le mani ancora libere, avrei potuto farlo, ho sbagliato a non chiedere di farlo a qualcun altro, quando le mie mani non ne erano in grado, ho sbagliato a fingere che il dolore non sarebbe aumentato, ho sbagliato.
Ma gli errori si pagano, e senza lamentarmi più di tanto, ho lasciato la mia immagine riflessa nello specchio assieme a questi miei pensieri, per proseguire la strada che ho davanti. So che mi porterà ad una fine, che in cuor mio spero vicina, sicuramente meno inutile di quanto non sia il mio tempo, speso calpestando questa terra.
E' solo idrato di cellulosa.
Notte delle streghe

Non si vede più il sole, molte ore sono passate, quando esco da un luogo inutile. Nelle orecchie riecheggia un suono, un suono ricco di ricordi, di sere passate con rabbia, senza consapevolezza, lontano dalla vita, molti anni fa. E’ il suono di piccole esplosioni, esplosioni allo zolfo, che riempiono le narici di freddi ricordi. Vorrei fermarmi, non andare avanti, lasciare la strada ormai segnata ed aspettare qualcuno, qualcosa di nuovo.
Domani sono libero, riposo, senza impegni. Questa notte posso non dormire, questa notte posso sognare. La voce dal passato, con quel tono e quell’indifferenza, mi riempie di un nuovo futuro, aiutandomi a tracciare una nuova strada.
E’ la notte delle streghe, sto per vomitare.
domenica 28 ottobre 2007
Alla prossima

Eh, ho avuto dei problemi.
Cosa è successo?
Mi sono fatto ricoverare.
Quando?
Non ricordo, mi sembra martedì.
Cosa hai avuto?
Ma, mi sono misurato la pressione, 200 – 120, ho chiamato il medico e mi ha suggerito di chiamare il 118. Quando sono arrivati mi hanno portato in ospedale.
Quando sei uscito?
Venerdì.
Cosa ti hanno detto?
Ma, di smettere di fumare. Poi, mi hanno cambiato qualche pastiglia. Le solite belinate.
Adesso come stai?
Eh, come sto? Mi sono preso paura, ma tanto lo so, ormai faccio la fine della nonna.
Lo so. Smettere di fumare non se ne parla.
E come faccio? Lo sai che non ci riesco.
Lo so, si.
Quando mi chiedono se fumo, e gli rispondo di si, gli viene voglia di mandarmi a casa. Sono dottorini di trent'anni, che si guardano e pensano “Questo qui cosa vuole? Farci perdere del tempo?”
Immagino. Lo penserei anch'io al loro posto.
Eh, si, non hanno mica tempo da perdere, loro.
Lo so.
Quando sono arrivato, hanno letto le carte del dottore “infartuato, by-passato, prostatato, semidiabetico, colesterolo alto” gli ho detto “anche mezzo rincoglionito”. Mi hanno messo su un lettino e hanno cercato un posto dove sistemarmi. Non sanno mai dove metterti. L’ospedale è sempre pieno, ti parcheggiano in doppia fila. Aspettano che si liberi la cantina o che muoia qualcuno.
Incredibile.
Hanno mandato un’infermiera di primo pelo, non parlava neanche bene l’italiano, ha chiesto scusa perché non era molto pratica. Per togliermi il sangue, mi ha mezzo assassinato un braccio. Mi è andata bene, quello prima di me, lo ha quasi ucciso.
Vi usano come cavie.
Eh si. Poi mi hanno parcheggiato in uno sgabuzzino. Spostano un letto e ce ne infilano un altro, ti mettono sopra la testa di uno, ti girano da una parte, poi finisci al terzo piano. Siamo passati anche da un’officina, non so un belin.
E’ dura.
Preparati per il funerale. Te le danno le ferie, se muoio?
Si che me le danno.
Ti spettano di diritto. Anche se si rompe una macchina o se avete qualche problema in fabbrica?
Certo, non scherzare.
Volevo venirti a trovare, ma adesso non lo so se ce la faccio.
Cerca di stare tranquillo e riposati.
Mi compro una pipa o dei sigari.
Così non mandi giù il fumo.
Si, così dicono.
Ma, hai ridotto le sigarette?
Si, mezzo pacchetto invece di uno.
Quanto resisterai?
Fino a quando mi passa la paura.
Al solito.
Si.
Va beh dai.
Ci sentiamo la prossima settimana. Se muoio te lo faccio sapere.
OK. Grazie, alla prossima.
Ciao …….
Ciao papà.
giovedì 25 ottobre 2007
Debole

Mi fermo e godo di questa debolezza, con le note di Capossela che raccontano la mia Pena dell’anima.
http://www.youtube.com/watch?v=lvLW2F8iJpQ
… se il meglio è già venuto, e non ho saputo, tenerlo dentro me …
martedì 23 ottobre 2007
Nebbia

Chiudo gli occhi e ricordo il passato, nella città degli studi, all’alba di ogni sabato, camminavo con le borse in mano. Ritorno a casa, avvolto nel grigio della sua presenza. Presenza così forte da mettere radici. Radici profonde che la rendono amica.
Oggi guardo oltre il vetro e l’aspetto, impaziente di correrle incontro.
domenica 21 ottobre 2007
Idiozie

giovedì 18 ottobre 2007
niente titolo

Gli occhi riescono a sopportare la luce della notte ed io riesco a raggiungere l’ingresso del mio rifugio. Senza alcun motivo apparente, in testa mi risuona una frase “non riesco ad immaginare il tuo volto”, la cosa però non mi preoccupa, ho spento la mia mente, ieri sera, ed ho cercato di svuotare alcuni contenitori interni. In casa ascolto “Do you love me?”, di Nick Cave, cercando di riprodurre con il corpo i passi sincopati della danza contenuta nel video. Non sono mai riuscito a ballare, ma muovermi come un’idiota mi riesce molto bene. Questa sera non sono ubriaco e la cosa non è bella. Uomo libero e solo rido di me, cantando questa canzone che mi ha ormai rapito e che difficilmente lascerò nei prossimi giorni.
Vorrei poterti dire addio.
http://www.youtube.com/watch?v=lOiUPl5GjTE
domenica 14 ottobre 2007
Stanco

Sono stanco, dentro e fuori. Consapevole che questa mezza giornata di nulla non sarà sufficiente a ritemprare le mie articolazioni, cerco di cancellare ogni desiderio, di dimenticare ogni illusione, perché lo dice la voce che ricanta nelle mie orecchie l’illusione è il lusso della gioventù. A casa preparo il cibo e accendo la macchina lava panni.
Ora, le mie dita scrivono la mia stanchezza, scrivono per te che mi leggi, ma soprattutto scrivono per me, essere stanco di sperare e affaticato da questo continuo sopravvivere.
Le dita si fermano.
Sono stanco.
venerdì 12 ottobre 2007
Ricorderò

Pochi giorni fa, quelle note si sono risvegliate e con forza mi hanno spinto a cercarle, a trovarle e a suonarle. Questa sera, ho capito perché. Nessun ricordo, fino a qualche giorno fa, era legato a quelle note, ma adesso in quel nido di rose ai piedi dell’arcobaleno, ci ho messo un regalo. Un regalo ricevuto con sorpresa, da chi forse non conoscerò mai, ma che ho già incontrato. Che ho incontrato quella sera, in quella stanza. Una malinconia diversa, una malinconia che non si può raccontare, ma si può scrivere e si può leggere.
Oggi so di chi era quella malinconia. Oggi so che quelle note porteranno sempre con loro quest’anima sconosciuta, ma così vicina, quel suo “qualcosa” e la mia incredulità. So che non potrò più ascoltarle senza pensare ad un volto mai visto, ad una bicicletta e all’odore di un maglione di lana. Ascolterò e ti ricorderò, ovunque saremo, qualunque cosa ci sarà successa, lontani come ora, lontani come sempre.
martedì 9 ottobre 2007
Giornata di suicidio … pensando a Ben Sanderson
Tratto dal film Leaving Las Vegas (1995), scritto e diretto da Mike Figgis, con Nicolas Cage ed Elisabeth Shue. Il brano musicale “Lonely Teardrops” è di Berry Gordy interpretato da Michael McDonald.
Ben Sanderson, an alcoholic Hollywood screenwriter who lost everything because of his drinking, arrives in Las Vegas to drink himself to death.
Molte volte ho pensato al suicidio, quante volte ne ho parlato, sin da giovane adolescente, rabbioso e schifato di tutte le menzogne che riempiono questo nostro mondo. Quante volte, con quelli che un tempo furono amici, ho cercato di immaginare come sarebbe stato porre fine alla propria esistenza. E quanto è stato difficile ammettere che in nessun modo sarei mai riuscito a tagliare il filo vitale, il desiderio biologico, inscritto nelle istruzioni primordiali, di continuare a bruciare ossigeno e trasformare materia, di continuare ad esistere.
Oggi, dopo aver gettato via tutto il poco di buono che mi è stato concesso, le cose sono diverse. Sono diverse perché ho scoperto che è possibile vincere gli ostacoli che ci legano alla nostra esistenza. Sono diverse perché ho incontrato Ben Sanderson.
La prima volta che l’ho incontrato non ci ho fatto caso, ero distratto nel trascinare il mio vivere lungo le strade della mia insensata esistenza. In seguito, incontratolo nuovamente, ho capito la forza della sua scelta, la possibilità di poter realizzare quello che pensavo impossibile e tutto è cambiato.
Da allora, so che la cosa è possibile, so che non devo preoccuparmi e che l’unica cosa di cui avrò bisogno la sto guadagnando giorno dopo giorno.
Prenderò i mie risparmi, li investirò in alcool e me li berrò tutti fino alla fine. Niente più ostacoli biologici, niente più freni morali, tutto sopito da vapori di alcool senza fine. Fino alla fine.
Oggi è una giornata di suicidio e di …