
Visualizzazione post con etichetta diario. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta diario. Mostra tutti i post
domenica 9 marzo 2008
Solitudine

domenica 10 febbraio 2008
L'inizio della fine

Una cosa che mi da terribilmente fastidio è il dimenticare i fondamentali. Scoprire la mancanza d’acqua con le mani già insaponate è un grave errore. E’ sempre necessario controllare la presenza dell’acqua prima di insaponarsi le mani.
Due ore di ritardo, niente acqua in bagno, il futuro delle ferrovie risulta essere tutt’altro che roseo.
Tornato a sedere vicino al finestrino, osservo il grigio paesaggio scorrere in senso contrario alla mia marcia.
Con me ho il libro che mi hai prestato, parla di pesantezza e di leggerezza, non riesco a leggere che poche pagine per volta, lo faccio per diluire l’emozione, insopportabile quanto del tutto irrazionale.
Nello scompartimento, due macchinisti di un’impresa privata parlano di argomenti che non possono in nessun modo attirare la mia attenzione.
La pioggia non scende, lascia che il grigio del cielo la annunci, futura minaccia umida; per il momento si limita a contorcermi l’anima.
La malattia, il mostro, il negativo, tutto quello che sono stato prima di incontrarti, lo sono ancora, tutto è ancora qui. Oggi, in questo mio viaggio solitario, loro sono ben felici di tenermi compagnia.
Un adulto debole, di fronte alla tua bellezza non può che scadere in patetiche argomentazioni. “Patetico e sentimentale”, così mi hai definito e così sono. Non c’è niente da dire “muovo a mestizia”.
Pensieri sciocchi ed adolescenziali mi rendono ridicolo, ma davvero vorrei che tu potessi sentire un po’ la mia mancanza, solo un po’. Lo so, non è da te, tu sei forte e vai dritta per la tua strada, lo so. Ti ho salutata con un ciao, ma dentro, come ogni volta, in realtà ti ho detto addio. So che ogni volta potrà essere l’ultima e in questo modo la vivo.
Niente dolcezza, niente smancerie, niente altro che io e te, tutte le sere, tutte le notti.
Oggi è l’inizio della fine.
martedì 22 gennaio 2008
Insieme

sabato 22 dicembre 2007
Infinita tristezza

Parcheggio l’auto vicino alle aule che in passato ho frequentato, in questa città che uso come rifugio, come dolorosa dimora per questo mio vecchio cuore a pezzi. Mi incammino, a stomaco vuoto, verso il centro. Maledico l’autista di un autobus che sfreccia sulle strisce pedonali, lo faccio a voce alta, senza volerlo, e attiro l’attenzione di alcuni passanti. Proseguo alla ricerca di me stesso, senza rendermi conto che sono proprio li con me. Oggi, incrocio molta bella gente ed anch’io, vestito di tutto punto, mi sento un po’ bello, diciamo che una leggera bellezza malinconica ricopre il mio volto, oggi senza peli e con i capelli pettinati. La gente è dappertutto, esce dagli angoli per sparire dietro ad altri vicoli, sbuca dai portici e si muove in ogni direzione, da non crederci. Un signore con la pipa, lascia un ricordo nelle narici, ed io incespico su di un tombino, l’ho guardato bene, era diverso dagli altri, li stanno cambiando. Se guardi una cosa con attenzione finisci per inciamparci sopra, accidenti. Vivo questa giornata senza scopo, come l’intera mia vita e non riesco a maledirmi.
Mi ci vuole del tempo per trovare il libro che devo comprare, hanno cambiato l’ordine degli scaffali e dei reparti, questa libreria sta peggiorando, si sta vestendo di modernità. Un giovane si scontra con una commessa, non riescono a mettersi d’accordo su chi dei due debba portare il libro alla cassa. Io no, non ho la tessera, l’ho detto anche al benzinaio, non mi interessano i punti, non voglio avere tessere, premi, sconti, voglio solo pagare i libri ed uscire.
Mi fermo un attimo davanti ad una vetrina, una paio di scarpe settecento euro, ho sbagliato vetrina. Un mimo argentato, mi strizza l’occhio ed io non riesco nemmeno a salutarlo. Ancora bella gente incrocia il mio cammino, vorrei urlare la mia solitudine, ma lascio perdere ed entro nel secondo negozio. Vorrei acquistare “Strade perdute” di David Lynch, ma non lo trovo, porto alla cassa Oxygene new master recording ed assisto al piccolo show della giovane commessa. Mi coglie di sorpresa con il suo sorriso e le sue battute, cerco di nascondere il mio imbarazzo, ma credo di non esserne in grado. Mi saluta con sorrisoni e battutone, lascio il negozio incredulo.
Un altro mimo, questa volta dorato, tenta di fingersi immobile, ci riesce talmente bene, che non lo nota nessuno.
Non so cosa pensare di queste feste e dei prossimi varietà, so che non riuscirò a trascorrerle con serenità, so che anche quest’anno perderò un’altra possibilità.
A casa, mi siedo in silenzio, e mi lascio stare.
Sono triste. Domani, forse, non lo sarò più.
martedì 18 dicembre 2007
La mia pianta

Nell’angolo della porta, vicino al tappeto blu e nero, sembra un piccolo ciuffo verde privo di significato.
Ogni sera, quando rientro la trovo li, con la sua fierezza ed indifferenza e sorrido.
Sorrido ad una pianta; comincio a pensare a me stesso come ad un povero uomo.
martedì 11 dicembre 2007
Fastidio

sabato 8 dicembre 2007
Forse

Non ne hai voglia di partire, quest’anno non ne hai voglia, ma come l’anno scorso, prepari la valigia, percepisci il disagio, la nostalgia dell’arrivederci, di quell’essere umano che lasci per incontrarne un altro, che a sua volta lascerai per tornare al punto di partenza. Una sorta di ciclo, che ti vede ogni volta diverso, ma senza che tu te ne renda conto. Parti con la tristezza nel cuore, che ancora ti sembra vivo, perché lo senti, perché ti chiede di fermarti, ma tu non puoi e allora non lo ascolti. Parti e guardi dal finestrino, il verde, sempre uguale, ma diverso ogni volta, le case, i palazzi e i prati, quanti prati, ma saranno prati? Non lo so, l’erba non sembra molto in forma, forse è tutto morto, e quei campi coltivati, li vicino alle rotaie, non produrranno certo cibo, non lo credi possibile. Chi mangerebbe del pane con farina cresciuta ai piedi dell’autostrada? Chi? Fumi qualche sigaretta, ti senti grande, stai viaggiando da solo, sono più di cinquecento chilometri, sei veramente un ometto. Ma sei triste, e non ti sai spiegare il perché. Forse perché sai che quando aprirai la valigia, il tempo non si fermerà e non potrai buttarla via, perché dovrai fare ritorno. Ma da dove sei partito non lo ricordi più, non sai se torni quando sei qui o se parti da qui per tornare li, non lo sai. La cosa che sai è che dovrai partire nuovamente. Non appartieni a nessun luogo.
E’ così che ti ritrovi solo, dopo molti anni, intrappolato su quel treno a guardare fuori senza riuscire a vedere nulla. Non sai nemmeno se il treno si sta muovendo, se è giorno o notte. Non fumi da quasi tre mesi, ma in mano hai una bottiglia. Scrivi perché nessuno scriverà di te, e di te non potrai leggere nessuno scritto. Scrivi perché sei triste, scrivi perché hai paura. Scrivi perché essere soli fa paura. Domani sarai li, all’uscita dell’autostrada, domani non sarai solo. Sarai spaventato, senza forze e molto triste, ma non lo darai a vedere. Fingerai serenità.
Domani, forse, sarai sereno veramente, senza fingere. Forse.
domenica 2 dicembre 2007
Grigio
sabato 1 dicembre 2007
Novemila

mercoledì 28 novembre 2007
Paracetamolo

C’è di peggio. Questa notte, in sogno, ho ucciso due amici di gioventù, e mia nonna, morta ormai da tempo, mi spiegava come fare per non farmi beccare.
Comincio a farmi paura.
sabato 24 novembre 2007
Nessuna meta

Non so come farò a proseguire questa giornata, così pesante ed insopportabile, comincio a temere di non riuscire a trovare la forza necessaria per continuare a sperare. Lavo i piatti e metto apposto, nel limite delle mie possibilità. Mi vesto ed esco. Nessuna meta, come sempre. Nessuno da incontrare, come sempre. Mi rifiuto di andare a fare la spesa, non ne ho il coraggio, muovermi fra gli scaffali, ricolmi di cibo, potrebbe essermi fatale. L’aria è appiccicosa, a tratti disgustosa. La macchina si muove regolarmente e mi porta in una delle tante città venete. Non ho l’ombrello, piove copiosamente. Scendo dalla macchina e m’incammino verso nessuna meta. La pioggia comincia a penetrare nelle scarpe, nei pantaloni e lungo il collo. Cammino assente da me, come non mi era mai successo. So di essere vivo, ma non riesco a capire fino a che punto.
Prendo in mano un CD e cerco di leggere i titoli che lo compongono, quando alcune gocce bagnano mano e copertina, mi rendo conto di essere completamente lavato. Passo una mano fra i capelli, ma la fermo subito, c’è così tanta acqua che rischierei di far affogare le persone che mi circondano, meglio tenermela in testa. Forse questa volta riuscirò ad ammalarmi, un bel febbrone da cavallo, qualcosa di pesante, qualche mese di mutua. Compro un po’ di musica, che si rivelerà, in seguito, una schifezza, ed esco per riprendere il colloquio con l’acqua del cielo.
Mi infilo in un ristorante, senza capirne il motivo, e seguo la cameriera che mi lascia ad una tavolo con una smorfia di circostanza. Mi siedo, ordino ed aspetto. Se qualcuno mi chiedesse cosa vuol dire solitudine, gli risponderei “pronunciare le prime parole della giornata alle 19:30 – tagliatelle agli eremitani – ad un cameriere che non rivedrai più”.
Il desiderio di fumare è enorme, ma la mia apatia è tale da impedirmi anche solo di immaginarmi mentre mi accendo una sigaretta. Salgo in macchina e guido verso casa. Mi ritrovo bloccato in un ingorgo. Da qualche parte, qui vicino, questa sera si terrà un concerto.
Ti prego, regina delle cartomanti, leggimi il destino, dimmi che non mi resta più molto da vivere, salvami, tu che puoi, da questo mio orrendo futuro.
Entro in casa, senza voglia di continuare, e stappo la prima bottiglia. Questa sera voglio bermi anche l’anima. Caro massimo, vai a fare in culo.
giovedì 22 novembre 2007
Questa sera

Ci ho provato.
Continuerò a farlo, nello stesso modo o in maniera differente, ma non questa sera.
Stanco di me e del mio modo di vedere le cose, confesso l’evidenza di aver compreso che non serve a nulla pretendere di poter condividere noi stessi con altre persone. Non era per niente importante che la persona che cercava in me solo una piccola cosa, non restituisse ai mie occhi la comprensione del mio essere complicato. Non molto avrei dovuto restituirle, un abbraccio caldo e forte, una carezza e poche domande, semplici, ma vere, magari anche uguali a quelle del giorno precedente.
Temere le conseguenze di scelte non fatte, solo perché altri, molto vicini a te, le stanno ancora pagando, porta a quello che sono. La procreazione come generazione di dolore è pensiero di persona debole e forse troppo piccola per difenderne il contenuto.
“She can kill you with her smile”, lei può ucciderti con un sorriso. Questo vorrei provare. Ma non funziona così.
Oggi ha piovuto. Tante parole sono state scritte sulle gocce dal cielo, ne ho scritte anch’io nel passato, ma oggi la pioggia ha fatto una cosa molto semplice, mi ha bagnato. La coda in autostrada, in compagnia di un collega, di ritorno da una trasferta, non è stata niente di più. I due panini per pranzo e le parole scambiate, non hanno cambiato il destino del mondo. Le notizie alla radio non mi hanno infastidito.
Questa sera, ascolto la mia voce senza pretese.
Questa sera, accetto le tue critiche.
Questa sera, mi siedo accanto a me e mi tengo un po’ di compagnia.
domenica 18 novembre 2007
Settimane

Le settimane passano senza lasciare traccia e con gran difficoltà distinguo in quale periodo mi trovo. Il calendario m’indica che ormai siamo oltre la seconda metà dell’undicesimo mese. Un altro anno scivolato via, perso in momenti senza ricordo, in fatti senza importanza. Come fare a non pensare a Battiato? A “come ho speso male il mio tempo, che non tornerà, non ritornerà più.” Questi enormi lenzuoli, sui quali ho solo poggiato i piedi, come grandi fogli di un gigantesco calendario, senza capirci nulla. Dove mi sono lasciato andare? Quando ho mollato?
Questo fiume, che continuo a vedere nei miei ricordi, in mezzo a montagne che tanto del mio dolore custodiscono, mi chiama senza voce. La voglia di salire in macchina e di guidare per oltre cento chilometri, che mi separano da questo ricordo, è molto debole. Ricordo di luoghi che mi hanno visto solo di passaggio, ricordo ricorrente e paranoico.
Se la gioia di vivere mi ha tenuto compagnia, io non me ne sono accorto, ma le sono grato comunque.
Ricordi della città dei miei studi alti, di una parete inclinata, la facciata di una chiesa. Le sigarette fumate, mentre correvo tra aule e collegio, con lo sgabello sotto il braccio e gli occhi a seguire linee regolari fra i porfidi. Il primo semestre, il migliore. Buio e freddo, pieno di nebbia e silenzi, odiato con tutto me stesso e adesso quasi gradevole, prezioso ricordo, del mio essere stato nulla anche allora.
Verso questo liquido nello stomaco e riempio le mie orecchie con note d’ogni genere. La voce di Fish fa male, ma io non lo sento più. “Tu stai male, perché a te piace stare male.” Così, quella che è stata la mia vita per dodici anni, liquidava la nostra prima settimana.
“…when I look into your eyes, I don’t know what to say to you…” eggià, non l’ho mai saputo, come si fa a dire quello che non può essere ascoltato?
Hai mai fatto caso come l’arpeggio di chitarra sia in grado di aprirti i recettori delle emozioni? Io lo sto subendo ora, in questo momento, ed è piacevole, come una puntura sulle tempie.
“Posso lasciarti un omaggino simpatico?”, così la mia barista preferita, quella sempre incazzata, mi ha spiazzato tre mattine fa. Non riuscivo a crederci, donna tutta di un pezzo, seria e severa, mi sorride e mi dona un portachiavi made in china, gadget pubblicitario inutile, ma in grado di lasciarmi senza punti fermi. Non è più incazzata, non è più lei. Cosa le sarà saltato in mente?
Altre parole raggiungono le mie orecchie, ed altri ricordi affiorano. Se non vivi la tua vita, non ti resta che ricordarla. Anni trascorsi lungo la pedemontana, muffa sui muri, riscaldamento spento per risparmiare, niente mobili. Quelle grosse lumache, senza guscio, che calpestavo quando uscivo, distratto, a sbattere la tovaglia. Caro il mio passato mal speso, potrai mai perdonarmi? Ti ho odiato quando eri presente, ti preferisco ora che sei lontano.
Gli addobbi per il grande “varietà religioso”, mi hanno quasi nauseato, dovevo solo comprarmi la cena, cose da single, non ero certo pronto a subire quella violenza di colori e luci, a novembre, ma come siamo ridotti?
Vorrei poter dormire, ancora una volta, in quella casa sopra la stazione. Fammi un regalo, solo per questa notte, fammi addormentare lungo quella ferrovia piemontese, tu puoi riuscirci, ho bevuto abbastanza, non sarà difficile.
Ciao.
venerdì 16 novembre 2007
Buio

La mente si muove da sola, inseguendo pensieri che non portano da nessuna parte. Paura del buio. Non ho paura del buio, quello che posso vedere con gli occhi, quello delle stanze che compongono la casa in cui abito, nemmeno di quello delle stanze che non conosco. Non ho paura del buio, ho smesso anni fa. Temo, però, il buio che si annida in me, in luoghi che non vorrei contenere, in forme che non vorrei sentire, in modi che non vorrei conoscere. Mi chiedo se potrò mai comprenderlo, mi chiedo se sia vero o se sia solo una mia percezione distorta della realtà, che filtra attraverso la mia storia, attraverso il mio passato, iniziato nella culla e cresciuto assieme a me.
Sono in ritardo, mi sto aspettando da troppo tempo e non riesco in nessun modo a raggiungermi. Aspetto di potermi parlare sul serio, di potermi perdonare, di stringermi la mano e, con una pacca sulla spalla, indicarmi la strada da seguire. Aspetto da tempo ormai.
In queste condizioni raggiungo casa.
Apro il frigo, ci guardo dentro, e mi intristisco. Non che prima io fossi felice, è solo che quello che i miei occhi vedono aumenta di un po’ la tristezza, che già mi tiene compagnia. Mi riesce difficile ammettere di essere riuscito ad ottenere quello che volevo, per poi rendermi conto che non volevo nulla. Una casa vuota, non mia, un frigo vuoto, non mio, una vita vuota, non mia.
Capisco di non poter proseguire, per questa sera credo possa bastare.
Perdonami.
… why are you running away? …
lunedì 12 novembre 2007
Ieri

Le vie del centro sono piene di gente, coppiette, bambini, famiglie, nonni e nipoti, comunitari e non, tutti in movimento, tutti in apparenza vivi. Mi muovo cercando di non dare nell’occhio e m’infilo in un noto negozio di CD ed affini. Cerco fra le novità e rimando l’acquisto di Vecchioni senza capirne il motivo. “Mi scusi lei lavora qui?” No signora, mi dispiace. Povera signora, non ha tutti i torti, non potrò mica essere un cliente così imbecille da girare in camicia, quando tutti indossano voluminosi giacconi e paltò colorati. Quando non voglio dare nell’occhio, ci riesco sempre.
Mi dirigo verso un altrettanto noto negozio di libri. Lungo il tragitto, non posso fare a meno di notare la coppia che mi viene incontro, lei sfoggia le sue grazie con estrema scioltezza, tanto da farmi pensare che, o non fa così freddo come sembra, oppure si è anestetizzata l’armamentario. Non dovrei far caso a queste cose, ma la carne è debole, anche se la mia la pensavo imbalsamata da tempo. Sarà.
Un tango per fisarmonica e tromba, che spettacolo. Che sia questo il motivo per il quale mi trovo qui? Ma che motivo vado cercando, non c’è mai stato nessun motivo per nessuna situazione, sono figlio del caos, una semplice variabile aleatoria. Rido di me, con soddisfazione, e accenno qualche passo danzante. All’interno, mi dirigo spedito alla ricerca di qualche novità sull’oro nero, ma nulla di nuovo è stato pubblicato. La corsa si è fermata a 98,6 $/b, dovrò aspettare ancora per festeggiare la fine di questa nostra caotica ed inutile civiltà, ma rimango fiducioso. Vado alla cassa con ‘Elementi’ e ‘La lunga notte del dottor Galvan’. “Ha la tessera?” No grazie. No grazie? Ma che risposta ho dato?
Un giocoliere lancia in aria palle colorate, le immagino restare sospese, catturate da un campo antigravitazionale, ma quando toccano terra ricordo il concetto di forza peso, vettore dotato di direzione e verso. Verso il basso, come il mio sguardo, che sia colpa della lettera “g”?
Sbaglio strada tre volte, il mondo si sta riempiendo di rotonde, e alla fine torno a casa.
Leggo e faccio gli homeworks, passo l'aspirapolvere e lavo i piatti.
Scriverò domani.
Ma questo è accaduto ieri.
Ma questo è accaduto ieri.
domenica 4 novembre 2007
Tappeto di foglie

E’ un caldo autunno, io continuo a camminare.
giovedì 1 novembre 2007
Notte delle streghe

Non si vede più il sole, molte ore sono passate, quando esco da un luogo inutile. Nelle orecchie riecheggia un suono, un suono ricco di ricordi, di sere passate con rabbia, senza consapevolezza, lontano dalla vita, molti anni fa. E’ il suono di piccole esplosioni, esplosioni allo zolfo, che riempiono le narici di freddi ricordi. Vorrei fermarmi, non andare avanti, lasciare la strada ormai segnata ed aspettare qualcuno, qualcosa di nuovo.
Domani sono libero, riposo, senza impegni. Questa notte posso non dormire, questa notte posso sognare. La voce dal passato, con quel tono e quell’indifferenza, mi riempie di un nuovo futuro, aiutandomi a tracciare una nuova strada.
E’ la notte delle streghe, sto per vomitare.
domenica 28 ottobre 2007
Alla prossima

Eh, ho avuto dei problemi.
Cosa è successo?
Mi sono fatto ricoverare.
Quando?
Non ricordo, mi sembra martedì.
Cosa hai avuto?
Ma, mi sono misurato la pressione, 200 – 120, ho chiamato il medico e mi ha suggerito di chiamare il 118. Quando sono arrivati mi hanno portato in ospedale.
Quando sei uscito?
Venerdì.
Cosa ti hanno detto?
Ma, di smettere di fumare. Poi, mi hanno cambiato qualche pastiglia. Le solite belinate.
Adesso come stai?
Eh, come sto? Mi sono preso paura, ma tanto lo so, ormai faccio la fine della nonna.
Lo so. Smettere di fumare non se ne parla.
E come faccio? Lo sai che non ci riesco.
Lo so, si.
Quando mi chiedono se fumo, e gli rispondo di si, gli viene voglia di mandarmi a casa. Sono dottorini di trent'anni, che si guardano e pensano “Questo qui cosa vuole? Farci perdere del tempo?”
Immagino. Lo penserei anch'io al loro posto.
Eh, si, non hanno mica tempo da perdere, loro.
Lo so.
Quando sono arrivato, hanno letto le carte del dottore “infartuato, by-passato, prostatato, semidiabetico, colesterolo alto” gli ho detto “anche mezzo rincoglionito”. Mi hanno messo su un lettino e hanno cercato un posto dove sistemarmi. Non sanno mai dove metterti. L’ospedale è sempre pieno, ti parcheggiano in doppia fila. Aspettano che si liberi la cantina o che muoia qualcuno.
Incredibile.
Hanno mandato un’infermiera di primo pelo, non parlava neanche bene l’italiano, ha chiesto scusa perché non era molto pratica. Per togliermi il sangue, mi ha mezzo assassinato un braccio. Mi è andata bene, quello prima di me, lo ha quasi ucciso.
Vi usano come cavie.
Eh si. Poi mi hanno parcheggiato in uno sgabuzzino. Spostano un letto e ce ne infilano un altro, ti mettono sopra la testa di uno, ti girano da una parte, poi finisci al terzo piano. Siamo passati anche da un’officina, non so un belin.
E’ dura.
Preparati per il funerale. Te le danno le ferie, se muoio?
Si che me le danno.
Ti spettano di diritto. Anche se si rompe una macchina o se avete qualche problema in fabbrica?
Certo, non scherzare.
Volevo venirti a trovare, ma adesso non lo so se ce la faccio.
Cerca di stare tranquillo e riposati.
Mi compro una pipa o dei sigari.
Così non mandi giù il fumo.
Si, così dicono.
Ma, hai ridotto le sigarette?
Si, mezzo pacchetto invece di uno.
Quanto resisterai?
Fino a quando mi passa la paura.
Al solito.
Si.
Va beh dai.
Ci sentiamo la prossima settimana. Se muoio te lo faccio sapere.
OK. Grazie, alla prossima.
Ciao …….
Ciao papà.
giovedì 25 ottobre 2007
Debole

Mi fermo e godo di questa debolezza, con le note di Capossela che raccontano la mia Pena dell’anima.
http://www.youtube.com/watch?v=lvLW2F8iJpQ
… se il meglio è già venuto, e non ho saputo, tenerlo dentro me …
giovedì 18 ottobre 2007
niente titolo

Gli occhi riescono a sopportare la luce della notte ed io riesco a raggiungere l’ingresso del mio rifugio. Senza alcun motivo apparente, in testa mi risuona una frase “non riesco ad immaginare il tuo volto”, la cosa però non mi preoccupa, ho spento la mia mente, ieri sera, ed ho cercato di svuotare alcuni contenitori interni. In casa ascolto “Do you love me?”, di Nick Cave, cercando di riprodurre con il corpo i passi sincopati della danza contenuta nel video. Non sono mai riuscito a ballare, ma muovermi come un’idiota mi riesce molto bene. Questa sera non sono ubriaco e la cosa non è bella. Uomo libero e solo rido di me, cantando questa canzone che mi ha ormai rapito e che difficilmente lascerò nei prossimi giorni.
Vorrei poterti dire addio.
http://www.youtube.com/watch?v=lOiUPl5GjTE
Iscriviti a:
Post (Atom)